Il "mio" Martini Cocktail

Non esiste "la ricetta" del Martini Cocktail, checché se ne dica, non è mai stata ufficialmente codificata. Ecco perché il Martini è una delle preparazioni più personali che esistano e si declina in centinaia di versioni. Gli elementi fissi sono pochi. Il "mio" Martini è una delle tante ipotesi di come si può fare.
Innanzitutto chiariamo che il nome stesso ha origini oscure: chi lo fa risalire - sbagliando - al Vermouth Martini presente tra i possibili ingredienti, chi a un tal Martinez che l'avrebbe preparato per primo. I più religiosi e poco resistenti all'alcool ne attribuiscono la creazione al Cardinal Martini e, dopo tre bicchieri, addirittura al suo principale...

Il mio è laico e si fa così: si prende un mixing glass, si mettono dentro dei cubetti di ghiaccio cristallino e si aspergono di China Lillet. Si lascia riposare qualche istante, dopodiché, con uno stirrer, si girano i cubetti per qualche secondo. Con lo strainer si elimina l'acqua e la china in eccesso e si versa Plymouth Gin ghiacciato. Un ultimo giro con lo stirrer e si versa con lo strainer nel bicchiere da Martini, per intenderci la versione esposta al MOMA, piccola e ben proporzionata.

Per rifinirlo, si prende la scorza di limone e se ne spreme l'olio sulla superficie del cocktail, passandola su metà bordo del bicchiere, avendo cura di servire il cocktail in modo tale che l'ospite accosti le labbra sul bordo non trattato affinchè ne possa sentire il profumo col naso, ma non essere sopraffatto dal gusto che sarebbe altrimenti eccessivo e coprirebbe quello del gin. La buccia non deve essere messa nel bicchiere perché l'olio delle dita del barman non è un ingrediente apprezzato.
Concludo solo dopo aver messo nel mixing glass dove ho preparato il cocktail - per farle insaporire - qualche oliva verde di ottima qualità che servo poi in un piattino a parte.

Uso il Plymouth perché è molto profumato e delicato e la china Lillet perché molto aromatica, ma non dolciastra come il Martini. Inoltre ha una deliziosa punta di amaro.

Qualche annotazione: la versione che Ian Fleming fa bere a James Bond è il cosiddetto Vesper Martini (dal nome della protagonista di Casinò Royale) e oltre al gin (Gordon) usa la vodka in party uguali. Anche il vesper non è fatto col Martini, ma con la china Lillet e non è stirred, but shaken (diventa più leggero).
Sinatra e Dean Martin - estimatori della bevanda - solevano mettere una bottiglia di Martini accanto al mixing glass per qualche istante, poi la richiudevano: del vermouth secondo loro bastavano i vapori.
Di Dean Martin è la versione Flame of Love, fatto con vodka e olio di scorza d'arancia flambée. Lo fa in modo eccezionale il bar Daiquiri di Brusuglio (MI). Lì potete trovare il Vesper originale e un ottimo Martini fumé, dove in luogo del vermouth viene usato il Laphroaig.
Al Harry's Bar a Venezia, il Martini si fa alla maniera di Hemingway che frequentava assiduamente il locale: secchissimo, servito in bicchieri da shot - intollerabili per il tipo di conversazione che il cocktail dovrebbe ispirare - da barman di antipatia rara. Spesso non è neanche fatto al momento: una vergogna per la storia del locale.
A Londra non si usa il ghiaccio, ma il gin ghiacciato e il vermouth viene spruzzato da un flacone vaporizzatore direttamente nel bicchiere: una bizzarria replicata al San Carlo a Milano in via Morozzo della Rocca.

Il Martini non deve essere né troppo forte, né troppo annacquato, né sapere di vermouth, né troppo da stufare. Deve essere giusto e far venir voglia di berne un altro. Com'è giusto? Be' questo lo dovete scoprire da soli...
Cheers