mercoledì 19 febbraio 2014

Il tradimento del Bello

Ho pubblicato questo mio articolo anche su The Butterfliers il blog sulla formazione frutto della collaborazione con Patrizia Spaggiari.

Dopo il bel film di Sorrentino, la bellezza sembra essere diventata di moda: se ne parla ovunque, sui media, in pubblicità, nell'industria del lusso, ma anche nella formazione. Anzi, in quest'ultimo ambito sembra essere diventata una specie di mantra quotidiano: la bellezza e il benessere, la bellezza e l'impresa, salute e bellezza, la bellezza della fabbrica - per chi ha nobili sussulti olivettiani - la bellezza e la leadership e chi più bellezza ha più ne metta. Noi stessi sono più di due anni che ci occupiamo con fatica e soddisfazione di bellezza e lavoro, di rapporti tra bello e buono, etica ed estetica. 

Proprio per questa ragione proviamo un senso di disagio - per non dire di fastidio - rispetto all'abuso che si sta perpetrando in nome dell'arte e della bellezza. Non c'è niente di più brutto e di più lontano dall'arte dello sfruttare quest'ultima per meri interessi commerciali, per vellicare interesse e curiosità, per camuffare un prodotto e un servizio vuoti di significato e di qualità, per qualcosa di innovativo, rivoluzionario, simbolico. In realtà si tratta spesso di operazioni di make up che con la riflessione sul bello, il buono e il bene hanno poco a che vedere. Pretesti per stupire, per sembrare diversi, ma in realtà non in grado di scatenare quegli impulsi alla libertà che soli producono bellezza. Intendiamoci subito, non si vuole dire che fare della formazione o della consulenza centrata sull'idea di bellezza sia
comportarsi in modo inautentico: noi stessi abbiamo progettato della formazione a pagamento che in qualche modo strumentalizza il bello. Tuttavia, la vera differenza è nei fini e nei mezzi che le persone utilizzano. La nostra finalità non è vendere un corso: se fosse così avremmo scelto una strada meno impervia. La nostra finalità è contribuire a cambiare il rapporto che ognuno di noi ha con il lavoro e, per farlo, abbiamo speso il nostro tempo e le nostre energie per strutturare degli interventi che hanno al proprio cuore quella espressione e ricostruzione della realtà che solo l'arte può rendere materialmente visibile. L'arte parla a ognuno con linguaggi diversi: esige solo di essere osservata per poter scatenare tutta la sua forza rivelatrice di chi siamo, che cosa vogliamo, le nostre passioni e le nostre paure. Quale mondo interiore squarciano i tagli di Fontana? Che cosa nascondono i colori crepuscolari delle grandi tele di Rothko? Quanto ci rappresentano quelle lattine di zuppa che in Warhol sembrerebbero essere tutte uguali? Quali confini sottili scopriamo tra il sublime
e il demoniaco nell'opera di Bach? Quale modello di produzione e di società sa ancora sbatterci in faccia "Tempi moderni" di Chaplin?

Nell'opera d'arte l'immaginario e il lavoro dell'artista si fondono con gli intimi recessi dell'osservatore. Si realizza un costante passaggio di consegne, un'attrazione o una repulsione che superano le barriere difensive. L'arte è strettamente connessa con il potere, un potere superiore a quello tradizionale, un potere ancestrale, tenuto nascosto, capace di smuovere gli animi. Un potere così connesso con la libertà da terrorizzare o produrre le vertigini in chi coltiva quelle forme di potere materiale che invece si fondano sulla rappresentazione falsata del reale e sulla costrizione o sullo svilimento della libertà.
Il nostro proposito è dunque il recupero della consapevolezza del cambiamento e la riscoperta delle premesse per la sua realizzazione. Un cambiamento che è tale solo se apporta una libertà maggiore a chi ne è investito, che è orientato a migliorare - cioè, letteralmente, rendere più buono, più pieno di bene - l'ambiente di lavoro, le relazioni umane e professionali, i beni materiali che vengono prodotti. Che poi è il significato proprio dei due caratteri che rappresentano il kaizen.
L'importante è cercare di incarnarlo con onestà e trasparenza e non tradirlo e corromperlo attraverso volgari esigenze di marketing che non potranno mai piantare radici da cui crescano querce.