tag:blogger.com,1999:blog-10019592837337050902024-03-13T23:33:20.520+01:00Lemon Twist and OlivesProfumato, acidulo, trasparente, alcolico e freddo gelato. E' il blog di Luca B FornaroliLuca B. Fornarolihttp://www.blogger.com/profile/03748694256234831605noreply@blogger.comBlogger31125tag:blogger.com,1999:blog-1001959283733705090.post-87831484320438839692016-11-27T21:48:00.003+01:002016-11-27T21:48:40.779+01:00Living room: lo spazio dove si vive. 2a parte.<b><br /></b>
<b><span style="color: #6aa84f;">L'uomo e l'ambiente: una liaison dangereuse</span></b><br />
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A questo punto diventa importante capire come noi, in quanto persone, ci relazioniamo con questi spazi, come interagiamo con essi una volta che abbiamo contribuito alla loro de-finizione cioè, letteralmente, al tracciamento dei loro confini, anche solo limitatamente alla disposizione delle cose sul nostro tavolo in ufficio o nel nostro armadietto. Come l'osservatore dei tagli di Fontana, dovremmo cercare di capire se subiamo o invece creiamo lo spazio circostante, se lo contempliamo quasi religiosamente nella sua bellezza o se lo riempiamo con la nostra vitale presenza, in uno sforzo teso a una maggiore consapevolezza del nostro ruolo, del bisogno che abbiamo di ordine o di disordine, di spazi vuoti o pieni e della coerenza tra l'ambiente in cui ci muoviamo e del modo in cui l'abbiamo trasformato e i nostri desideri e aspirazioni. In altre parole, molto semplici e semplicistiche: perché se amo l'ordine e l'armonia, vivo nel disordine e creo continuamente confusione? Perché se sono attratto dal kósmos creo il chàos intorno a me? Perché se sono un persona a cui piacciono i progetti e confido in un futuro più soddisfacente, mi crogiolo invece a contatto coi ricordi di un brutto passato? In estrema sintesi, domande come queste sono riassumibili in un unico interrogativo: se cioè lo spazio intorno a noi rifletta quello che siamo o invece rappresenti la persona che vorremmo essere.<br />
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Riflettere su che cosa vogliamo dall'ambiente in cui viviamo e operiamo, da cui fuggiamo o che ricerchiamo nel nostro tempo libero, ci aiuta a scoprire le radici delle nostre apparenti non scelte e ci aiuta a prendere le decisioni per modificarle o confermarle. Già cambiare lo spazio, segmentarlo diversamente, liberarlo dalle troppe cose presenti, ordinarlo secondo una regola che abbiamo deciso autonomamente e che non necessariamente debba seguire le convenzioni sociali, può rivelarsi uno straordinario strumento di cambiamento interiore. Agisco su di me attraverso l'azione sullo spazio intorno a me. L'intervento sull'ambiente in cui si vive apre le opzioni per realizzare gradatamente anche un cambiamento interiore, per diventare quella persona che si è deciso di essere se essa rappresenta per noi ancora una pienezza di significati e non è invece solo il prodotto di condizionamenti, mode, conformismi. Tuttavia, affinché il rapporto con lo spazio sia consapevole e possa aiutarci a cambiare o a confermarci nelle nostre scelte, dobbiamo alimentarlo, renderlo oggetto di attenzioni costanti, non solo di un'iniziativa una tantum frutto casuale di una giornata particolarmente creativa. Si ritorna così all'estetica giapponese da cui siamo partiti: l'ambiente esige cure, non diversamente da un bonsai o da qualsiasi realtà vivente. Cure attraverso cui manifestiamo la nostra personalità agli altri, ma soprattutto a noi stessi: un quotidiano coltivare la propria libertà attraverso piccoli compiti che ricostruiscano o proteggano l'armonia dello spazio in cui viviamo e che ci deve rappresentare anche attraverso il disordine se è il disordine quello che vogliamo perché siamo stufi di una vita troppo piena di regole ed etichette. L'armonia deve essere tra l'ambiente esterno e la nostra interiorità e non tanto tra gli oggetti, se non è l'armonia tra gli oggetti quello di cui abbiamo bisogno e che ci interessa. La cura, le attenzioni sono volte quindi a proteggere quel confine fragile che corre tra l'ambiente come luogo dove esprimiamo la nostra libertà e l'ambiente che ci ossessiona con i suoi obblighi, la frustrazione dei lavori domestici o dell'attività professionale, l'oppressioni delle relazioni sociali e persino familiari. Occuparsi dello spazio intorno a noi non deve significare quindi crearsi un'altra gabbia da dover tenere pulita, ma poterci muovere e vivere in un luogo fisico e simbolico che ci sia congeniale, che sentiamo finalmente come nostro, attraversato anche dal nostro spirito, frutto della nostra libertà e di quella di coloro che vivono con noi.<br />
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<b><span style="color: #6aa84f;">L'estraneità dell'ambiente di lavoro</span></b><br />
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Un'analoga riflessione può essere condotta su un piano meno esistenziale, ma non per questo meno condizionante, qual è quello rappresentato dall'ambiente di lavoro, soprattutto se è uno spazio che altri hanno voluto, organizzato e di cui hanno deciso le regole. Il contesto organizzativo è caratterizzato da rapporti più superficiali e temporanei rispetto a quelli che definiscono la natura del nostro ambiente privato. Tuttavia, tale superficialità riesce a esercitare un impatto molto profondo sul nostro benessere, sull'immagine che abbiamo di noi stessi e persino sull'ambiente dove viviamo. La costrizione della nostra libertà che subiamo al di fuori del nostro spazio ideale inevitabilmente si ripercuote su quest'ultimo, trasformandolo o nel buen retiro dove possiamo riprendere confidenza con noi stessi o nello specchio impietoso delle nostre frustrazioni e incapacità di dare una direzione alla nostra vita. Il rapporto tra gli spazi dove viviamo è sempre interdipendente e noi siamo il trait d'union tra tutti loro: è una pia illusione, un autoinganno, credere di poter "chiudere saracinesche" o creare compartimenti stagni. Si può solo cercare di migliorare la relazione con i vari ambienti trasferendo il bene, il buono e il bello dall'uno all'altro nei limiti delle nostre possibilità.<br />
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Una buona gestione manageriale non può sottovalutare l'importanza dell'ambiente sulle persone/risorse che lo occupano e su come questo possa condizionare il loro lavoro in termini di creatività, originalità, responsabilità ed efficacia. Il dogma e il falso mito dell'efficienza sembra invece prediligere ambienti freddi, dis-umani, illuminati male, aerati in modo artificiale e malsano, arredati con mobili freddi, poveri, ma costosi, che puzzano di colle tossiche e formaldeide. Siamo tornati molto indietro rispetto al modello di azienda che un gigante come Adriano Olivetti cercò di realizzare, in cui l'ambiente di lavoro potesse diventare luogo di crescita e di benessere per le persone.<br />
Senza voler seguire la complessa filosofia olivettiana, basta veramente poco per creare uno spazio in cui <br />
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lavorare più decentemente: per esempio, basta coinvolgere, prima delle decisioni di arredo o di organizzazione degli ambienti, le persone che ci andranno a lavorare, che spenderanno lì otto ore al giorno della loro vita. Capirne le esigenze e i bisogni e cercare di venire loro incontro significa costruire un progetto comune di cui tutti sono responsabili e di cui tutti accettano gli inevitabili compromessi con più facilità. Non si tratta di essere utopisti o particolarmente illuminati, c'è già qualche interessante caso del genere in Italia come l'ambiziosa struttura di Zambon progettata da De Lucchi a Bresso con il coinvolgimento del personale. In quel caso sono stati investiti milioni, ma il principio può essere realizzato con una minima spesa, spesso inferiore a quella che qualche consulente può aver preventivato per la realizzazione di una struttura dove lui peraltro non metterebbe mai piede.<br />
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<b style="background-color: white;"><span style="color: #6aa84f;">Corpo e scrittura</span></b><br />
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Un'ultima annotazione che non vuol essere ironica e che torna alle tematiche esistenziali e strettamente personali, evidenziando la straordinaria importanza dell'ambiente fisico. È curioso come quando si affrontano i disturbi alimentari in pochi si pongano il problema dello spazio: ci si concentra sul peso, ma raramente sul volume del corpo. Eppure la prima conseguenza visibile dell'obesità o della denutrizione volontaria è l'aumento o la riduzione del volume e quindi dello spazio occupato. Attraverso un'alimentazione eccessiva o insufficiente posso sia affermare la mia presenza, imponendomi agli altri, sia al contrario sparire dissolvendomi. Il rapporto con l'ambiente circostante diventa dalla nascita una perenne sfida tra l'affermazione e la negazione di sé, una rassicurazione circa la propria presenza o assenza di fisicità. È una relazione originaria e condizionante molti aspetti dell'esistenza, una matrice spesso per tutti gli altri tipi di rapporto di cui sono parte.<br />
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In conclusione di questo lungo excursus un po' impressionistico e poco sistematico sul rapporto tra spazio e individuo, merita di essere accennato un paragone con la scrittura. Scrivere, a mano, è muoversi su uno spazio vuoto dando vita a segni che lo suddividono e gli conferiscono significato. La lettera, la parola e infine il testo scritto, non solo riempiono lo spazio del foglio, ma lo ampliano con i contenuti che esprimono, siano anche solo una lista della spesa o delle cose da fare. Un rettangolo bidimensionale diventa così una pluralità di realtà diverse, di oggetti da acquistare al supermercato o di commissioni da portare a termine, persone da incontrare, luoghi verso cui dirigersi: si formano insomma altre dimensioni che trascendono quello spazio vuoto iniziale.<br />
Non diversamente, interagendo anche fisicamente col nostro ambiente, abbiamo il potere di conferirgli nuovi significati, arricchirlo di nuove estese potenzialità, trovare in esso nuovi ambiti e possibilità esistenziali, ridisegnando così il rapporto con noi stessi e con gli altri.<br />
<br />Luca B. Fornarolihttp://www.blogger.com/profile/03748694256234831605noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-1001959283733705090.post-23690994672872994752016-11-22T14:33:00.000+01:002016-11-22T14:33:13.091+01:00Living Room: lo spazio dove si vive. 1a parte.<b>Premessa in compagnia di Lucio Fontana</b><br />
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<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjMtDJd3dan8oDJeTyzeVtA2IZwGZ90RcsoP-zLMPSSisrE04C14wmJmKM358G67UkUzDFzAt1v2qZUJ7vwFolVGeNuqGI56nBTnpItBFvVNwty_wFYq7Ub31IUTrNzvuvu495oQ5ZFKGI/s1600/Fontana+attesa.jpg" imageanchor="1" style="clear: right; float: right; margin-bottom: 1em; margin-left: 1em;"><img border="0" height="320" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjMtDJd3dan8oDJeTyzeVtA2IZwGZ90RcsoP-zLMPSSisrE04C14wmJmKM358G67UkUzDFzAt1v2qZUJ7vwFolVGeNuqGI56nBTnpItBFvVNwty_wFYq7Ub31IUTrNzvuvu495oQ5ZFKGI/s320/Fontana+attesa.jpg" width="320" /></a>La recente visita allo showroom di oggetti e mobili di design di varie epoche che Daniele Cislaghi è riuscito ad allestire ad Abbiategrasso, grazie ad anni di ricerca e di contatti in tutto il mondo, mi dà lo spunto per qualche riflessione sul nostro rapporto con lo spazio dove viviamo. Innanzitutto osservo con piacere che un'esposizione di begli oggetti in un ambiente curato e opportunamente studiato contribuisce all'innalzamento dell'attenzione per la cultura materiale in un'area del milanese tradizionalmente sonnecchiante e piuttosto arida. Uno spazio privato che diventa per la sua stessa presenza una ricchezza comune e che sarebbe perfetto per ospitare iniziative coerenti con lo spirito che lo anima.<br />
Muovermi in quelle sale mi ha nuovamente fatto pensare ai Concetti spaziali di Lucio Fontana, i suoi tagli nelle tele. Fontana squarcia la bidimensionalità monocroma della tela con tagli secchi, affilati, netti, che sembrano aprire il varco a una nuova dimensione sottostante. Il taglio apre lo spazio chiuso, confinato, della tela. Sotto di essa appare un mondo imperscrutabile o, meglio, solo perscrutabile dalle fessure create, un mondo nero d'ombra, una meta-realtà davanti alla quale l'osservatore non sa più se egli è ancora il soggetto che osserva o se diventa l'oggetto che viene osservato da qualcuno indefinibile e non identificabile che lo guarda al di là dei tagli. È veramente affascinante come la semplice azione del guardare un'opera - un gesto spesso passivo e inconsapevole - possa condurre lontano, verso un'involontaria dimensione esistenziale. Chi sono io, un soggetto che pensa, riflette, decide e agisce liberamente o un povero prigioniero delle proprie convinzioni, ambizioni e abitudini, oggetto dello sguardo commiserevole di qualcuno che neanche riesco a vedere? Sempre, l'arte - quella vera - riesce a parlare senza intermediazioni al nostro cervello e alla nostra pancia in modo imprevedibile e inaspettato.<br />
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<b>Lo spazio e le cose: dalla Toscana al Giappone</b><br />
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In inglese il salotto si chiama living room, cioè lo spazio dove viviamo, in cui siamo più genuinamente noi stessi, dove ci riposiamo, leggiamo, scriviamo, ci intratteniamo coi familiari e riceviamo i nostri ospiti. Lo spazio dove la nostra personalità si manifesta, dove diventiamo soggetti. Lo spazio che noi stessi abbiamo disegnato, arredato, riempito. Non è possibile vivere senza una costante dialettica con lo spazio circostante: <br />
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una dialettica dinamica, che muta in continuazione. Il nostro muoverci modifica lo spazio intorno e lo spazio condiziona il nostro movimento. Non siamo mai quindi nello stesso posto anche se ci torniamo decine di volte al giorno. Proprio come non riusciamo a bagnarci due volte nelle stesse acque del famoso fiume di Eraclito.<br />
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La delicata eleganza degli interni delle case giapponesi, così mutevoli grazie all'uso delle pareti scorrevoli, così funzionali a un ideale estetico che sembra improntato al rispetto: un ambiente rarefatto in cui le poche cose tuttavia impongono rispettosamente la loro silenziosa presenza. In cui le persone - come già fece notare Bruno Munari in "Arte come mestiere" - non possono lasciarsi andare a comportamenti fuori misura, perché l'ambiente di carta di riso e listelli di legno rischierebbe di venirne danneggiato. L'armonia si spezzerebbe; quella stessa armonia che trova una sua straordinaria espressione nel tokonoma, l'angolo della casa destinato ad accogliere una pianta, un vaso, un pannello disegnato o una pergamena che ne fanno una sorta di altare laico, naturalistico e spirituale.<br />
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<b>La casa e la "strada"</b><br />
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Per contrasto, invece, immaginiamo quelle case - spesso le nostre - piene di oggetti accumulatisi quasi a caso, senza una legge, frutto di viaggi, esperienze, ricordi, disattenzioni. Oggetti che sembrano dover riempire un vuoto e che ci impediscono di muoverci comodamente, ma che tuttavia talvolta hanno il potere di aprire spazi mentali, in cui ritroviamo noi stessi nella memoria di quell'incontro, quell'affetto, quell'avventura di cui non ci resta altro che una foto, un souvenir, un frammento di pensiero ed emozioni. Le persone anziane soprattutto fanno di questi spazi mentali - che si aprono nel vedere o toccare uno dei loro oggetti consumati dal tempo - una nuova dimensione vitale: lo spazio fisico che riescono a percorre con gli anni è destinato a ridursi, i movimenti si accorciano e si rallentano, ma una nuova comfort zone domestica prende forma in cui le coordinate dello spazio e del tempo si sovrappongono; un ricordo è infatti sempre anche un luogo, un'atmosfera, un orizzonte che non ha nulla ha che fare con quello che essi vedono al di fuori della finestra o al di dentro del tubo catodico.<br />
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All'esterno, la casa pone i confini tra il nostro spazio privato, quello altrui (i vicini, ad esempio) e quello pubblico. È la casa che fa sì che ci sia un dentro e un fuori, un noi e un loro. La casa può essere pertanto rifugio, protezione, laboratorio, conforto, ma anche tana, prigione, disimpegno, indifferenza. Giorgio Gaber anni fa scrisse una meravigliosa canzone, C'è solo la strada (https://youtu.be/OBthTGY-zZs), in cui, evidenziando i rischi del chiudersi in casa, nel proprio particulare, enfatizzava invece l'importanza della strada come luogo di incontro, di sviluppo della personalità e di crescita della società. La casa aperta è un'efficace metafora di questo bisogno non solo di protezione, ma anche di partecipazione, di confronto. Le splendide architetture di Mies van der Rohe sono il più bell'esempio di spazio domestico dove il confine tra dentro e fuori è indefinibile, di una casa che grazie alle immense pareti vetrate si apre al mondo e alla natura e li fa entrare.<br />
(continua)<br />
<br />Luca B. Fornarolihttp://www.blogger.com/profile/03748694256234831605noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-1001959283733705090.post-26235804690346153302016-09-28T15:28:00.000+02:002016-09-28T15:28:15.752+02:00La Pietà Rondanini: cinquecento anni di arte contemporanea.<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhyIVoK7m5TeMlVuKerjpQhpa1X7iuPsRWR106f5qs0qQnwf3ZApjRof_T5Gla6tNEFrXW8MOkG66iccCbjy0x_fspwl7UnyayVVJq4U_FSBljNfkqSI_vW-_O1dX6UPK63-ZCUgOLvps0/s1600/Pieta+Rondanini.jpg" imageanchor="1" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" height="320" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhyIVoK7m5TeMlVuKerjpQhpa1X7iuPsRWR106f5qs0qQnwf3ZApjRof_T5Gla6tNEFrXW8MOkG66iccCbjy0x_fspwl7UnyayVVJq4U_FSBljNfkqSI_vW-_O1dX6UPK63-ZCUgOLvps0/s320/Pieta+Rondanini.jpg" width="240" /></a>La Pietà Rondanini - dal nome della famiglia venuta in suo possesso anni dopo la morte di Michelangelo - è uno straordinario capolavoro di arte contemporanea, realizzato però cinquecento anni prima degli albori dell'arte contemporanea. Un'opera che sarebbe perfettamente coerente e a proprio agio con le sue nipotine della Collezione Guggenheim, della Fondazione Maeght o del museo del Novecento a Milano.<br />
Da profano e semplice curioso, sono sempre stato nel contempo attratto e respinto dalla sua indecifrabilità, incompiutezza e - ai miei occhi - incomprensibilità. Non capivo perché Michelangelo, che già aveva fatto sessant'anni prima una pietà bellissima in San Pietro, avesse dovuto cimentarsi in un simile "sgorbio". Come molti, ho sempre dato per scontata la sua natura di opera incompleta, iniziata, interrotta e mai finita. Una Pietà anomala, inquietante, che per molto tempo mi evocava qualcosa di simile al salvataggio di un naufrago, parendomi la Madonna più somigliante a un pescatore misericordioso e Gesù a qualcuno che veniva raccolto esanime dall'acqua. La pietà, appunto, del soccorritore, del salvatore che salva il Salvatore. Oppure, con mente paganeggiante, vedevo in essa il pensiero di Nausicaa davanti a Ulisse, desiderosa nel corpo di prendersene cura o quello di Odisseo-Nessuno davanti alla figlia del re dei Feaci, desideroso di abbandonarsi, sfinito, alla sua accoglienza e benevolenza. Una macedonia di sensazioni e reminiscenze scolastiche che hanno contribuito al non poter essere indifferente rispetto a una specie di mistero marmoreo, di racconto ermetico scritto in punta di scalpello.<br />
Solo molto recentemente tuttavia sono stato folgorato dalla sua straordinaria importanza e credo di averne colto almeno alcuni dei molti significati.<br />
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<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEj6rdzC6mvHoEDRMrqbHfGBG6wVo7-dJYHAU8BLm20Uxl30SoJVRJrmn-YALtXmejiP7LATrokmfltZK28LgQsgR0MkqX8BuISXEyf9LG9M7X4tKdSuxByJFdOWSFaqmXwijS10P8qGa1Q/s1600/Boccioni+scultura+movimento.jpg" imageanchor="1" style="clear: right; float: right; margin-bottom: 1em; margin-left: 1em;"><img border="0" height="200" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEj6rdzC6mvHoEDRMrqbHfGBG6wVo7-dJYHAU8BLm20Uxl30SoJVRJrmn-YALtXmejiP7LATrokmfltZK28LgQsgR0MkqX8BuISXEyf9LG9M7X4tKdSuxByJFdOWSFaqmXwijS10P8qGa1Q/s200/Boccioni+scultura+movimento.jpg" width="160" /></a>Innanzitutto non è un'opera incompiuta - come ha anche rilevato Henry Moore in una sua originale analisi tecnica - è piuttosto un'opera voluta nella sua indeterminatezza. La scultura era già stata terminata dall'autore ed era completamente diversa da come ci appare ora: era un sublime esempio di arte rinascimentale che richiamava l'arte classica, ma con un tema a carattere religioso. Il Cristo deposto dalla croce e vegliato da sua madre piena di grazia e di pietà. Poi Michelangelo ha deciso di doverla cambiare, di distruggerla, di farla diventare altro. Di quella prima versione rimangono solo le gambe, così realistiche, eleganti, che sembrano nell'inerzia di sciogliersi dalla postura in cui erano costrette sulla croce. Il resto viene deturpato, modificato, come se Michelangelo fosse in cerca della vera anima di quell'opera: il lavoro di rimozione dell'inutile non trova mai compimento; l'immagine di madre e figlio è non umana, umbratile, stilizzata, quasi mera apparenza, un'epifania sempre più immateriale a mano a mano che dalle gambe ci si muove verso i volti. Michelangelo sembra voler così rappresentare il mistero irrappresentabile, il dio fatto uomo e sua madre, madre di dio. C'è una forza innaturale in quei tratti appena accennati, cancellati: presenze che sembrano lentamente svanire, perdersi nella materia o, al contrario, emergere dallo spazio, prendere forma sotto gli occhi dell'osservatore, inevitabilmente confuso, attonito. Il cristo uomo è morto e cambia natura, sostanza, svanisce nel marmo e da lì risorge. Questo tentativo di raffigurare il non raffigurabile è tipico dell'arte contemporanea, dove l'opera si definisce nell'immaginazione di chi la osserva. Basti pensare alle sculture di Boccioni che interpretano il dinamismo stando ferme e riescono a fare vedere il movimento dell'aria e della materia oppure al più volte citato Giacometti e all'indefinitezza delle sue forme e delle sue superfici, tese verso una perfezione che non possono mai raggiungere.<br />
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Il dato storico artistico dice che la seconda versione della Pietà è letteralmente e materialmente derivata dalla prima, dal blocco di marmo che ha liberato da sé la Pietà precedente. Michelangelo ha estratto la sua seconda opera da quella preesistente, sembra, scambiando le parti tra Gesù e Maria: ricavando la testa del secondo Gesù dal petto di Maria e la seconda Maria dal corpo di Cristo. In questa rappresentazione Gesù e Maria sono l'una parte dell'altro, si generano reciprocamente, non si limitano a condividere la materia di cui sono fatti. In questo modo Michelangelo riesce a esprimere almeno due concetti assai rilevanti anche sotto il profilo teologico: l'opera è una metamorfosi di un lavoro preesistente così come la morte di Cristo è una sorta di metamorfosi della sua natura: muore il Gesù uomo, si smaterializza e torna al padre. Il secondo concetto teologico - che io trovo straordinario - è l'unicità della natura e della materia di Cristo e della Madonna. Non più madre e figlio, ma un unico corpo, un'unica dimensione, un'unica natura in due incarnazioni. Un concetto forse eretico, ma di straordinaria forza: non solo dio-padre, ma dio-madre in un'unica materia col figlio. Ricordo che l'espressione Dio-Madre fu usata da Giovanni Paolo I nel suo brevissimo pontificato. Mi piace pensare - è una mia forzatura da ateo - che sia Michelangelo Buonarroti sia Albino Luciani potessero immaginare una trinità composta da Padre, Figlio e Madre. Del resto non sarebbe così azzardato con-fondere, fondere insieme, Maria e lo Spirito Santo persino in un ambito cattolico tradizionale.<br />
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Tuttavia Michelangelo non smette di riservare sorprese: basta osservare la Pietà secondo l'asse verticale. La rappresentazione marmorea del corpo morto di Gesù deposto dalla croce non sembra affatto raffigurare un morto, ma una sofferenza, uno svuotamento di energie, un'agonia, un involucro esterno abbandonato o, forse, qualcuno che invece si sta rialzando. Affinando l'attenzione tuttavia, il Cristo che esce dal petto di Maria (dal costato, quasi a voler rovesciare così il rapporto tra Adamo ed Eva) sembra significare una nuova nascita dopo la morte, un parto in una dimensione altra da quella umana. Nella Pietà la morte diventa metamorfosi e poi rinascita.<br />
In molti ritengono che la statua fosse destinata a essere il monumento funerario della tomba di Michelangelo, ormai molto anziano. La morte sarebbe la sua morte, di uomo che invoca la pietà davanti alla fine. Può darsi, ma mi sembrerebbe un modo riduttivo di interpretare un'opera sconcertante. Se il suo significato non dovesse essere anche teologico, ma si limitasse alla fine dell'esistenza terrena dell'autore, anche in questo caso non si tratterebbe, secondo me, di una semplice invocazione della Misericordia in limine mortis, ma una concezione della morte come metamorfosi dell'uomo che viene accolto perché rinasca, abbandoni questa realtà corporea per raggiungere uno stato spirituale, epifanico, inafferrabile con l'intelletto. Così almeno mi piace pensarla, esoterica nel suo non essere afferrabile, spirituale in modo intimo, profondo, al di fuori da canoni e liturgie ecclesiastiche, misterica nel potersi offrire a tanti livelli di interpretazione, contemporanea nel rappresentare anche i gesti, i colpi, che l'hanno fatta emergere da un capolavoro precedente cancellato e rimodellato per darle vita. Non escluderei neppure, in virtù della personalità di Michelangelo, un intento di tipo politico: il manifesto scultoreo di un bisogno di rinnovamento radicale della chiesa, l'urgenza di abbandonare i fasti rinascimentali rappresentati dall'opera precedente e ritrovare la Via dello spirito, del dio fatto uomo, della morte e resurrezione, nella sua inafferrabile essenza. Non va sottovalutato infatti che il secolo della Pietà Rondanini è quello della Riforma e delle sue istanze.<br />
<span id="goog_405574899"></span><span id="goog_405574900"></span><br />
<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEiePiQsTCjmOa0QvwQXpMvAE_V3eSHKoZZpY3LG2p_iQrszTM8q1x2Mr-9XvzxjEwd2W-gHKXpG7fCxkuaxXHwbr_8zBxeSIogl5ts8hwgS8Rh8-iOE54KZbfU1WcTFDZqTgYVTg1LnoRE/s1600/Michelangelo-Piet%25C3%25A0-San-Pietro-in-Vaticano-cover.jpg" imageanchor="1" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" height="151" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEiePiQsTCjmOa0QvwQXpMvAE_V3eSHKoZZpY3LG2p_iQrszTM8q1x2Mr-9XvzxjEwd2W-gHKXpG7fCxkuaxXHwbr_8zBxeSIogl5ts8hwgS8Rh8-iOE54KZbfU1WcTFDZqTgYVTg1LnoRE/s200/Michelangelo-Piet%25C3%25A0-San-Pietro-in-Vaticano-cover.jpg" width="200" /></a>La Pietà Rondanini, conservata al Castello Sforzesco, a Milano è l'ultimo lavoro di Michelangelo, il suo epitaffio artistico. Mentre sessant'anni prima la Pietà di San Pietro fu il suo primo capolavoro di giovane scultore. Due opere che aprono e chiudono il ciclo di una vita eccezionale e che la eternano tra noi mortali.Luca B. Fornarolihttp://www.blogger.com/profile/03748694256234831605noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-1001959283733705090.post-13569714395055301012016-09-12T00:17:00.001+02:002016-09-12T00:17:30.993+02:00L'opera d'arte come strumento di formazione<div>
<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEinS07B2HXNNN6fKIJ2DioNv_fkNx0_btfU234YZpoYGXgJJ8QA7iYkX2zgE7Dzf0ubJYIgtwhwS6y7psMdZns2SSjEgv3IreLRw-FN8OdjGPHvkHFqwYZKtZdvprlx3zdlhSPygi5T7iA/s1600/Giacometti_Grande_tete_de_Diego.jpg" imageanchor="1" style="clear: right; float: right; margin-bottom: 1em; margin-left: 1em;"><img border="0" height="200" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEinS07B2HXNNN6fKIJ2DioNv_fkNx0_btfU234YZpoYGXgJJ8QA7iYkX2zgE7Dzf0ubJYIgtwhwS6y7psMdZns2SSjEgv3IreLRw-FN8OdjGPHvkHFqwYZKtZdvprlx3zdlhSPygi5T7iA/s200/Giacometti_Grande_tete_de_Diego.jpg" width="141" /></a><br />
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<i><span style="font-size: x-small;"><span style="font-weight: normal;">(Viene qui di seguito riportato il testo del mio intervento a </span>"Pitturazione: quando la formazione incontra l'arte"<span style="font-weight: normal;">, con l'esperto di processi formativi </span>Cristiana Clementi<span style="font-weight: normal;"> e la pittrice </span>Valentina Canale<span style="font-weight: normal;">, Cassinetta di Lugagnano, Milano, 10 settembre 2016).</span></span></i></h4>
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<i>"L'arte è solo un mezzo per vedere"</i>, così si esprimeva lo scultore grigionese della indeterminatezza dell'uomo Alberto Giacometti. Sorprende una frase così netta, definita, quasi sminuente, da parte di un autore le cui opere sono invece la testimonianza di una incapacità di esprimersi in maniera definitiva, di raggiungere un risultato soddisfacente che non sia invece in continuo movimento, evoluzione, superamento di sé. <i>"L'arte è solo un mezzo per vedere"</i>: non ci si può non chiedere davanti a un'affermazione del genere chi sia il soggetto vedente e quale l'oggetto visto. Così come non si può fare a meno di pensare all'arte come strumento, mezzo di intermediazione della conoscenza, molto lontana quindi dall'idea di <i>ars gratia artis</i> - l'arte per l'arte - con cui ci hanno riempito la testa a scuola: il culto dell'arte, una religione estetica neopagana, una categoria dello spirito.</div>
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<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEiYyWfczwqsQ_2OfQDBW0jaUkBviarYQ7Zi5y2QdqmWkeCoG3UTr6jdr9Czpvd-mHO6jjPMz_wt6ybgpuSF37r7RzPMS3o28Zdo2rli0gjBR82-VSqtxA7OP9KP7jfaNDznDjyajLb_qMU/s1600/lucio+fontana+attesa+blu.jpg" imageanchor="1" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em; text-align: center;"><img border="0" height="200" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEiYyWfczwqsQ_2OfQDBW0jaUkBviarYQ7Zi5y2QdqmWkeCoG3UTr6jdr9Czpvd-mHO6jjPMz_wt6ybgpuSF37r7RzPMS3o28Zdo2rli0gjBR82-VSqtxA7OP9KP7jfaNDznDjyajLb_qMU/s200/lucio+fontana+attesa+blu.jpg" width="200" /></a>L'appunto di Giacometti invece ci trasmette l'idea affascinante di un'arte da imparare a capire, a usare, per vedere la realtà. L'oggetto dell'arte, il centro del suo campo visivo, è la realtà. La realtà materiale, concreta, fisica, ma anche la realtà delle idee, concetti, paure, desideri, pulsioni, principi. Un oggetto quindi fisico, ma anche metafisico, che va quindi al di là della natura e ci porta nelle dimensioni di intelletto, pensiero, emozioni, etica, sogno. L'arte diventa così un mezzo di trasporto che ci conduce nelle più diverse direzioni trasfigurandole, rappresentandole quindi in modo simbolico, deformato, destrutturato e poi ricostruito, attraverso associazioni, relazioni, simultaneità, contrasti. L'opera è una narrazione visiva, tattile, uditiva - verbalizzata o no - della realtà; supera se stessa, la propria materialità, le forme, le tecniche che hanno condotto alla sua creazione per aprire squarci su mondi non attesi, proprio come in una delle <i>Attese</i> di Lucio Fontana. L'arte è un tramite costante tra la realtà esterna, l'interiorità dell'artista e quella del suo consumatore. Uso di proposito il termine consumatore perché l'opera va consumata per consentirle di esprimere tutto il suo contenuto: non basta osservarla; va vissuta più volte, gustata, esplorata.</div>
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Se l'oggetto dell'arte come "mezzo per vedere" è la realtà esterna, interna e immaginata, i soggetti sono invece almeno due: l'artista e il consumatore. L'artista "vede" attraverso la propria arte, concretizza la propria realtà interiore su una tela, si coglie attraverso lo spazio bidimensionale su cui mette le mani: come Narciso nello specchio d'acqua, con la differenza che l'immagine riflessa è quella che l'autore ha voluto o cercato di creare.</div>
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Il consumatore è in una posizione privilegiata perché non solo può vedere che cosa l'artista vuole esprimere e come, ma ha modo anche di dialogare con se stesso, di prendere parte a una rappresentazione che va oltre le intenzioni e le capacità dell'artista. La relazione tra consumatore e opera ad un certo punto diventa totalmente autonoma e altra rispetto a quella tra l'artista e la sua opera. L'opera stessa, quindi, prende una vita autonoma rispetto a quella che il suo creatore ha pensato di darle.</div>
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Se l'arte è in grado di dire molte più cose di quelle che il suo autore ha inteso, se parla direttamente all'osservatore e si offre a lui fino a farlo diventare consumatore, se tende a farsi possedere, diventa inevitabile cogliere la dimensione trasformatrice dell'opera. L'opera d'arte induce cambiamenti, trasformazioni, trans-formazioni, cioè modella il consumatore a diventare altro da sé, a subire una piccola - o grande - metamorfosi; l'arte pertanto diventa strumento di formazione, capace di plasmare l'osservatore facendolo diventare una tela su cui stendere nuovi colori o il blocco di marmo da cui liberare - rimuovendo l'inutile - la parte di sé in esso nascosta. Formazione significa partecipare al processo di acquisizione di una forma, facilitandolo, guidandolo, indirizzandolo.</div>
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Il processo di formazione avviene all'interno dell'osservatore: l'opera, per assumere un significato, per scatenare la sua forza evocativa e descrittiva ha bisogno di uno spettatore che abbia un ruolo attivo, che si lasci penetrare, non opponendo resistenze. È nello spettatore che non teme l'ignoto, l'insolito, l'incomprensibile, che l'arte può liberare le sue potenzialità generatrici di idee, riflessioni, decisioni e cambiamenti.</div>
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Perché avvenga il passaggio da ruolo passivo ad attivo, da spettatore a consumatore, è innanzitutto necessario che ci sia un contatto diretto con l'opera non mediato da fotografie, film o riproduzioni. Questa relazione in formazione deve essere guidata da un atteggiamento curioso da parte del consumatore; l'arte - diceva Berger - deve avviare un processo di interrogazione, una ricerca - potrebbe aggiungere - a più livelli in sovrapposizione: che cosa esprime l'opera, quali sono le intenzioni dell'artista, che reazioni suscita nello spettatore. Per poter dare una risposta a queste domande, lo spettatore/consumatore deve allenarsi con l'immaginazione e pensare di essere l'autore o un soggetto dell'opera che ha davanti a sé, un colore o la tela in pittura, uno strumento musicale in una sinfonia, un blocco di marmo nella scultura. Sentire le mani dell'artista che lo plasmano, lo suonano o lo distribuiscono sulla tela; cercare di immaginarne le sensazioni tattili, gli odori, le consistenze della materia, le temperature, i gesti preparatori o quelli creatori, il tempo necessario, le attese prima di mettere mano a questo o quel particolare. Nel fare tutto questo occorre porre la propria attenzione alle sensazioni, alle emozioni positive e negative, alle forze che attraggono e quelle che respingono e persino al rimanere indifferenti davanti a un'opera. Come mai siamo apparentemente sordi a quel che l'artista voleva dirci? Perché la sua opera sembra ignorarci, non essere interessata a noi, sembra non voler trasmetterci nulla?</div>
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Una successiva riflessione deve portare a pensare in quali altre circostanze della vita lo spettatore fa la stessa esperienza di pienezza o di vuoto, presenza o mancanza di significato e quali elementi possano essere in comune con la relazione che egli sta stabilendo con l'opera: perché l'opera lo cattura, lo fa suo? Perché invece sembra rifiutargli una qualsiasi possibilità di comunicazione? Quando nella vita quotidiana si può accorgere di attraversare le stesse sensazioni?</div>
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Come in tutte le cose, per far parlare un'opera ed essere in grado di ascoltarla occorre silenzio, concentrazione, sensibilità e attenzione e allenamento. L'opera deve avere il tempo di distrarci, condurci via dalla banalità e chiusura dei soliti pensieri e farci volare attraverso territori inesplorati e spesso scomodi. Non serve una competenza di natura artistica o filosofica: serve invece disponibilità ad ascoltare se stessi attraverso le opere.</div>
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<table cellpadding="0" cellspacing="0" class="tr-caption-container" style="float: right; margin-left: 1em; text-align: right;"><tbody>
<tr><td style="text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhge4wO84ctqa0webyzDZNBkJAEd4wh8889bbD_-4_hxNPKGx21arUN3tFfRMJ5P_4VYkoB9t437qw3sZf99w1I2RGpX9NaWKfnEYQeFdtNNjtvexeb8nrR-EqACQbrKDNaQuzsUHBMmCQ/s1600/Valentina+canale+rami.jpg" imageanchor="1" style="clear: right; margin-bottom: 1em; margin-left: auto; margin-right: auto;"><img border="0" height="200" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhge4wO84ctqa0webyzDZNBkJAEd4wh8889bbD_-4_hxNPKGx21arUN3tFfRMJ5P_4VYkoB9t437qw3sZf99w1I2RGpX9NaWKfnEYQeFdtNNjtvexeb8nrR-EqACQbrKDNaQuzsUHBMmCQ/s200/Valentina+canale+rami.jpg" width="198" /></a></td></tr>
<tr><td class="tr-caption" style="text-align: center;">Valentina Canale - Rami</td></tr>
</tbody></table>
La fiducia nel fatto che l'arte sia un "mezzo per vedere" e quindi un efficace strumento di formazione, nasce dalla non casualità dell'opera, dall'intenzionalità dell'artista. Egli esprime se stesso, si racconta nel modo che ritiene più opportuno. Lo spettatore va in cerca a sua volta di questo dialogo silenzioso, ma non vacuo, ricco invece di significati e di stimoli. È quindi presente anche una tensione dello spettatore verso l'artista e la sua opera, un voler capire guidato dalla curiosità, la sete di conoscere. E quando la conoscenza si sviluppa scatta la meraviglia, lo stupore, la capacità di farsi rapire dal nuovo per poterlo poi guidare. Quel che i filosofi greci chiamavano <i>thaumazein</i>.<br />
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Luca B. Fornarolihttp://www.blogger.com/profile/03748694256234831605noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-1001959283733705090.post-79987559046540480822015-04-15T00:30:00.000+02:002015-04-15T00:54:12.053+02:00LinkedIn: il conformismo e il niente<div style="-webkit-line-break: after-white-space; -webkit-nbsp-mode: space; color: rgba(0, 0, 0, 0.701961); margin-top: 0px; word-wrap: break-word;">
<blockquote style="-webkit-composition-fill-color: rgba(130, 98, 83, 0.0980392); font-family: UICTFontTextStyleBody; font-size: 17px; text-decoration: -webkit-letterpress;" type="cite">
<a href="http://www.mattesonart.com/Data/Sites/1/magritte/Giaconda%201953.jpg" imageanchor="1" style="clear: right; float: right; margin-bottom: 1em; margin-left: 1em;"><img border="0" src="http://www.mattesonart.com/Data/Sites/1/magritte/Giaconda%201953.jpg" height="249" width="320" /></a><br />
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LinkedIn è un nonluogo meraviglioso. Viene usato per presentarsi, ma senza esporsi. Non una presa di posizione, tutto in guanti bianchi, per non urtare, solo convincere, persuadere, rendersi appetibili, ma non troppo saporiti. Un pizzico di banalità qua, una nuance di originalità là, tutto pulito, profumato con quella nota tipica dei deodoranti da bagno.</div>
</blockquote>
<blockquote style="-webkit-composition-fill-color: rgba(130, 98, 83, 0.0980392); font-family: UICTFontTextStyleBody; font-size: 17px; text-decoration: -webkit-letterpress;" type="cite">
<div style="text-align: justify;">
Un nonluogo fatto apposta per non sembrare troppo di niente. E a furia di non sembrare troppo di niente si finisce per essere quel niente.</div>
</blockquote>
<blockquote style="-webkit-composition-fill-color: rgba(130, 98, 83, 0.0980392); font-family: UICTFontTextStyleBody; font-size: 17px; text-decoration: -webkit-letterpress;" type="cite">
<div style="text-align: justify;">
Mi si chiede che cosa si possa fare per dare un po' di sangue, proteine e vitamine a questo corpo anemico che, attraverso un social, diventa la metafora perfetta di molti rapporti di lavoro, l'atteggiamento più promosso e diffuso nelle aziende.</div>
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<a href="http://www.aurhelio.it/wp-content/uploads/2014/08/confo.jpg" imageanchor="1" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em; text-align: justify;"><img border="0" src="http://www.aurhelio.it/wp-content/uploads/2014/08/confo.jpg" height="125" width="200" /></a></div>
</blockquote>
<blockquote style="-webkit-composition-fill-color: rgba(130, 98, 83, 0.0980392); font-family: UICTFontTextStyleBody; font-size: 17px; text-decoration: -webkit-letterpress;" type="cite">
<div style="text-align: justify;">
<span style="background-color: rgba(255, 255, 255, 0);">Credo in passato di aver fatto la mia parte nell'oppormi a un certo andazzo tanto da essere considerato un paria ormai da molti, colleghi esimi compresi. Continuo a non farmi dire che cosa devo pensare, dire e fare, da nessuno. Se devo proprio sbagliare, sbaglio da me, grazie. Dire di sì quando è sì e di no quando è no - o "forse" se si ritiene giusto sospendere il giudizio - è un buon modo per sottrarsi alla metamorfosi ovina. E comunque essere disposti a pagare sempre in prima persona. </span></div>
</blockquote>
<blockquote style="-webkit-composition-fill-color: rgba(130, 98, 83, 0.0980392); font-family: UICTFontTextStyleBody; font-size: 17px; text-decoration: -webkit-letterpress;" type="cite">
<div style="text-align: justify;">
<span style="background-color: rgba(255, 255, 255, 0);">Non credo si possa fare molto di più di denunciare il conformismo e la mancanza totale di riflessione critica che sembra una specialità del sistema italia, così mafioso e feudale da </span></div>
<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
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<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="http://static.fanpage.it/socialmediafanpage/wp-content/uploads/2014/10/il-baro-caravaggio.jpg" imageanchor="1" style="clear: right; float: right; margin-bottom: 1em; margin-left: 1em; text-align: justify;"><img border="0" src="http://static.fanpage.it/socialmediafanpage/wp-content/uploads/2014/10/il-baro-caravaggio.jpg" height="244" width="320" /></a></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="background-color: rgba(255, 255, 255, 0);">corrompere anche multinazionali che in patria operano con maggiore spirito autocritico e apertura alle differenze. Il sistema Italia trova invece adeguate stampelle anche presso impresentabili società di consulenza e formazione. Non impresentabili in quanto a conoscenze, esperienza o competenze, ma per mancanza di responsabilità (nel senso di accountability e responsibility) e di moralità che fa sì che altrimenti stimabili colleghi si uniformino senza discutere e accolgano solo un po' a malincuore - ma neanche poi troppo - procedure e buone pratiche che di improprio non hanno solo l'aggettivo. Tuttavia, si sa, "le cose vanno così". Ed è per questo che le colleghe del parco Trenno mi sembrano sempre un esempio di maggiore integrità e rettitudine. </span></div>
</blockquote>
<div style="text-align: justify;">
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<blockquote style="-webkit-composition-fill-color: rgba(130, 98, 83, 0.0980392); font-family: UICTFontTextStyleBody; font-size: 17px; text-decoration: -webkit-letterpress;" type="cite">
<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="http://propagandafascista.altervista.org/images/fullscreen/futurismo2.jpg" imageanchor="1" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em; text-align: justify;"><img border="0" src="http://propagandafascista.altervista.org/images/fullscreen/futurismo2.jpg" height="320" width="260" /></a></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="background-color: rgba(255, 255, 255, 0);">Certo che se attorno a un tavolo o in un'aula censuriamo noi stessi per convenienza - "questo non si può dire, questo non si può fare, quest'altro è davvero troppo..." - non riusciremo mai a cambiare nulla, anzi rafforziamo lo status quo. Non si va in azienda a fare i predicatori - ce ne sono e dio ce ne scampi e liberi - ma neanche i galoppini o, peggio, i complici. Sennò hai voglia a portare l'arte contemporanea nelle organizzazioni come leva del cambiamento come cerco di fare, senza gran successo: anche l'arte infatti in molte circostanze ha blandito il potere e non ne ha mostrato affatto "di che lagrime grondi e di che sangue", ma l'ha celebrato e perpetuato. Non diversamente da formatori e consulenti.</span></div>
</blockquote>
</div>
Luca B. Fornarolihttp://www.blogger.com/profile/03748694256234831605noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-1001959283733705090.post-37057336279653981202015-03-25T00:32:00.002+01:002015-03-25T00:48:06.651+01:00Giacometti o dell'organizzazione - 3<div class="Corpo" style="border: none; mso-padding-alt: 0in 0in 0in 0in; text-align: justify;">
<a href="http://www.ernst-scheidegger-archiv.org/slir/w700-h700/files/giacometti_6.jpg" imageanchor="1" style="clear: right; float: right; margin-bottom: 1em; margin-left: 1em;"><img border="0" src="http://www.ernst-scheidegger-archiv.org/slir/w700-h700/files/giacometti_6.jpg" height="320" width="315" /></a><span style="color: #1d2d0d;">Giunge alla sua ultima tappa, forse, il nostro percorso
in compagnia dell'opera di Alberto Giacometti. Negli articoli precedenti
abbiamo parlato dell'apparente continua insoddisfazione dell'artista davanti
alla sua opera, il bisogno incessante di doverla modificare, plasmare in una
tensione espressiva che sembra non riuscire mai a trovare compimento, a far
emergere una verit</span><span style="color: #1d2d0d; font-family: "Arial Unicode MS"; mso-ascii-font-family: Helvetica;">à</span><span style="color: #1d2d0d;">
interiore complessa e magmatica che vediamo increspare la superficie delle sue
sculture.<o:p></o:p></span></div>
<div class="Corpo" style="border: none; mso-padding-alt: 0in 0in 0in 0in; text-align: justify;">
<span style="color: #1d2d0d;">Un'opera essenzialmente imperfetta, in senso etimologico,
non portata a termine, che non trova definizione, confini. L'imperfezione </span><span style="color: #1d2d0d; font-family: "Arial Unicode MS"; mso-ascii-font-family: Helvetica;">è</span><span style="color: #1d2d0d;"> la condizione necessaria per qualsiasi cambiamento: non c'</span><span style="color: #1d2d0d; font-family: "Arial Unicode MS"; mso-ascii-font-family: Helvetica;">è</span><span style="color: #1d2d0d;"> miglioramento senza
imperfezione. La perfezione invece </span><span style="color: #1d2d0d; font-family: "Arial Unicode MS"; mso-ascii-font-family: Helvetica;">è</span><span style="color: #1d2d0d;">
il coronamento di un processo di creazione che non pu</span><span style="color: #1d2d0d; font-family: "Arial Unicode MS"; mso-ascii-font-family: Helvetica;">ò</span><span style="color: #1d2d0d;"> pi</span><span style="color: #1d2d0d; font-family: "Arial Unicode MS"; mso-ascii-font-family: Helvetica;">ù</span><span style="color: #1d2d0d;"> essere diverso da quello
che </span><span style="color: #1d2d0d; font-family: "Arial Unicode MS"; mso-ascii-font-family: Helvetica;">è</span><span style="color: #1d2d0d;">, non pu</span><span style="color: #1d2d0d; font-family: "Arial Unicode MS"; mso-ascii-font-family: Helvetica;">ò</span><span style="color: #1d2d0d;"> pi</span><span style="color: #1d2d0d; font-family: "Arial Unicode MS"; mso-ascii-font-family: Helvetica;">ù</span><span style="color: #1d2d0d;"> arricchirsi, integrarsi. </span><span style="color: #1d2d0d; font-family: "Arial Unicode MS"; mso-ascii-font-family: Helvetica;">È</span><span style="color: #1d2d0d;"> compiuto e nel suo
compimento </span><span style="color: #1d2d0d; font-family: "Arial Unicode MS"; mso-ascii-font-family: Helvetica;">è</span><span style="color: #1d2d0d;"> depauperato di
qualsiasi potenzialit</span><span style="color: #1d2d0d; font-family: "Arial Unicode MS"; mso-ascii-font-family: Helvetica;">à</span><span style="color: #1d2d0d;">
alternativa. Pu</span><span style="color: #1d2d0d; font-family: "Arial Unicode MS"; mso-ascii-font-family: Helvetica;">ò</span><span style="color: #1d2d0d;"> solo
distruggersi, annullarsi, perdere qualsiasi senso nella sua perfezione statica
perch</span><span style="color: #1d2d0d; font-family: "Arial Unicode MS"; mso-ascii-font-family: Helvetica;">é</span><span style="color: #1d2d0d;"> il senso, la
direzione, il significato sono termini relativi che rimandano ad altro. Sono
tappe, passaggi, pietre miliari lungo un cammino. Non trovano spazio nella perfezione,
nella perfezione tutto si ferma e finisce.</span></div>
<div class="Corpo" style="border: none; mso-padding-alt: 0in 0in 0in 0in; text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="http://upload.wikimedia.org/wikipedia/en/1/15/Photograph_of_Alberto_Giacometti_by_Cartier_Bresson.jpg" imageanchor="1" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" src="http://upload.wikimedia.org/wikipedia/en/1/15/Photograph_of_Alberto_Giacometti_by_Cartier_Bresson.jpg" height="320" width="212" /></a></div>
<div class="Corpo" style="border: none; mso-padding-alt: 0in 0in 0in 0in; text-align: justify;">
<span style="color: #1d2d0d;">Cambiamento, miglioramento, evoluzione vivono di
imperfezioni. Se ci lasciamo trascinare dall'opera di Giacometti e portiamo
l'attenzione alle organizzazioni e alle imprese ci rendiamo conto
dell'importanza dell'imperfezione per la sopravvivenza di quelle realt</span><span style="color: #1d2d0d; font-family: "Arial Unicode MS"; mso-ascii-font-family: Helvetica;">à</span><span style="color: #1d2d0d;">. Non esiste mai un modello organizzativo
perfetto, esiste invece un sovrapporsi di imperfezioni in costante dialogo. Un
modello astratto non trova mai realizzazione: un'organizzazione </span><span style="color: #1d2d0d; font-family: "Arial Unicode MS"; mso-ascii-font-family: Helvetica;">è</span><span style="color: #1d2d0d;"> sempre il risultato in
fieri di infinite dinamiche che si integrano, si combattono, si selezionano.
Organizzazione deriva dal latino <i>organum, </i>strumento, mezzo.
L'organizzazione </span><span style="color: #1d2d0d; font-family: "Arial Unicode MS"; mso-ascii-font-family: Helvetica;">è</span><span style="color: #1d2d0d;"> lo strumento con
cui gli uomini realizzano un risultato, l'organizzazione quindi incide sul
risultato da realizzare, non </span><span style="color: #1d2d0d; font-family: "Arial Unicode MS"; mso-ascii-font-family: Helvetica;">è</span><span style="color: #1d2d0d;">
una distribuzione di potere e funzioni. <i>Organum </i>deriva dal greco </span><i><span style="color: #1d2d0d; font-family: "Arial Unicode MS"; mso-ascii-font-family: Helvetica;">è</span></i><i><span style="color: #1d2d0d;">rgon</span></i><span style="color: #1d2d0d;"> che significa lavoro. L'organizzazione </span><span style="color: #1d2d0d; font-family: "Arial Unicode MS"; mso-ascii-font-family: Helvetica;">è</span><span style="color: #1d2d0d;"> uno strumento di lavoro, un
mezzo finalizzato alla collaborazione delle persone, non un santuario dove si
celebrano le stratificazioni del potere e della gerarchia. </span><span style="color: #1d2d0d; font-family: "Arial Unicode MS"; mso-ascii-font-family: Helvetica;">È</span><span style="color: #1d2d0d;"> un costante tentativo di
raggiungere e migliorare un obiettivo condiviso. L'organizzazione </span><span style="color: #1d2d0d; font-family: "Arial Unicode MS"; mso-ascii-font-family: Helvetica;">è</span><span style="color: #1d2d0d;"> pertanto in s</span><span style="color: #1d2d0d; font-family: "Arial Unicode MS"; mso-ascii-font-family: Helvetica;">é</span><span style="color: #1d2d0d;"> giacomettiana, in costante
divenire, una tensione creatrice collettiva dove migliaia di dita plasmano
l'opera. Non pu</span><span style="color: #1d2d0d; font-family: "Arial Unicode MS"; mso-ascii-font-family: Helvetica;">ò</span><span style="color: #1d2d0d;"> essere - e non </span><span style="color: #1d2d0d; font-family: "Arial Unicode MS"; mso-ascii-font-family: Helvetica;">è</span><span style="color: #1d2d0d;"> mai, in realt</span><span style="color: #1d2d0d; font-family: "Arial Unicode MS"; mso-ascii-font-family: Helvetica;">à</span><span style="color: #1d2d0d;"> - imposta dall'alto: </span><span style="color: #1d2d0d; font-family: "Arial Unicode MS"; mso-ascii-font-family: Helvetica;">è</span><span style="color: #1d2d0d;"> un costante processo
negoziale in buona parte inespresso, latente, generato dall'interdipendenza dei
comportamenti e dal fatto stesso di essere parte di un'organizzazione o
occupare uno spazio in un ufficio.<o:p></o:p></span></div>
<div class="Corpo" style="border: none; mso-padding-alt: 0in 0in 0in 0in; text-align: justify;">
<a href="http://coupledwith.com/wp-content/uploads/2014/02/Dscn34831.jpg" imageanchor="1" style="clear: right; float: right; margin-bottom: 1em; margin-left: 1em;"><img border="0" src="http://coupledwith.com/wp-content/uploads/2014/02/Dscn34831.jpg" height="240" width="320" /></a><span style="color: #1d2d0d;">Non ha alcun senso imbrigliare una realt</span><span style="color: #1d2d0d; font-family: "Arial Unicode MS"; mso-ascii-font-family: Helvetica;">à</span><span style="color: #1d2d0d;"> dinamica in ruoli
predefiniti; essa va lasciata pulsare, ribollire, occorre darle sfogo, lasciarla
modificare e fluire: procedure, schemi, pianificazioni rigide sono ostacoli
alla capacit</span><span style="color: #1d2d0d; font-family: "Arial Unicode MS"; mso-ascii-font-family: Helvetica;">à</span><span style="color: #1d2d0d;"> generatrice
dell'organizzazione, ne impediscono la crescita, l'espressione di tutte le sue
potenzialit</span><span style="color: #1d2d0d; font-family: "Arial Unicode MS"; mso-ascii-font-family: Helvetica;">à</span><span style="color: #1d2d0d;"> innovatrici. <o:p></o:p></span></div>
<div class="Corpo" style="border: none; mso-padding-alt: 0in 0in 0in 0in; text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="Corpo" style="border: none; mso-padding-alt: 0in 0in 0in 0in; text-align: justify;">
<span style="color: #1d2d0d;">Ecco quindi che l'arte di Giacometti ci richiama a</span><span style="color: #1d2d0d;"> riflettere sulla dimensione delle nostre esistenze come <i>hommes
qui marchent </i>anche in quei contesti in cui crediamo - o speriamo - che la
nostra libert</span><span style="color: #1d2d0d; font-family: "Arial Unicode MS"; mso-ascii-font-family: Helvetica;">à</span><span style="color: #1d2d0d;"> e la nostra
responsabilit</span><span style="color: #1d2d0d; font-family: "Arial Unicode MS"; mso-ascii-font-family: Helvetica;">à</span><span style="color: #1d2d0d;"> non abbiano modo
di dispiegarsi nella loro pi</span><span style="color: #1d2d0d; font-family: "Arial Unicode MS"; mso-ascii-font-family: Helvetica;">ù</span><span style="color: #1d2d0d;">
ricca pienezza o in cui, pi</span><span style="color: #1d2d0d; font-family: "Arial Unicode MS"; mso-ascii-font-family: Helvetica;">ù</span><span style="color: #1d2d0d;">
semplicemente, temiamo di doverne prendere atto e operare di conseguenza. <o:p></o:p></span></div>
<div class="Corpo" style="border: none; mso-padding-alt: 0in 0in 0in 0in; text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="Corpo" style="border: none; mso-padding-alt: 0in 0in 0in 0in; text-align: justify;">
<br /></div>
Luca B. Fornarolihttp://www.blogger.com/profile/03748694256234831605noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-1001959283733705090.post-45667708331522111042015-02-20T01:36:00.000+01:002015-03-25T01:01:10.934+01:00Rifrazioni giacomettiane - 2<a href="http://www.artfinding.com/images/svv/1/1385/henri_cartierbresson_henri_cartierbresson_19082004_portrait-111-1.jpg" imageanchor="1" style="clear: right; float: right; margin-bottom: 1em; margin-left: 1em;"><img border="0" src="http://www.artfinding.com/images/svv/1/1385/henri_cartierbresson_henri_cartierbresson_19082004_portrait-111-1.jpg" height="245" width="320" /></a>Nello stesso modo in cui, forse, si può considerare incompiuta tutta l'opera di Alberto Giacometti - appare come puro anelito, tentativo, aspirazione in costante svolgimento - credo di avere lasciato a metà anche le riflessioni che ho tentato di fare nell'articolo precedente. "Tentato", appunto, perché di Giacometti<br />
si può solo tentare di discutere. "Riflessioni" inoltre non sembra essere il termine più adatto: troppo pomposo per riferirsi a un autore scarno, nel fisico e nel lavoro, nodoso, immagine di quegli alberi antichi del paesaggio dei Grigioni che gli ha dato i natali. Forse sarebbe più adatto "rifrazioni": un fascio luminoso che si frange e si rifrange perché di Giacometti non si può mai finire di parlare; ogni elaborazione diviene magmatica, procellosa, non definibile.<br />
<div style="-webkit-composition-fill-color: rgba(130, 98, 83, 0.0980392); color: rgba(0, 0, 0, 0.701961); font-family: UICTFontTextStyleBody; font-size: 17px; text-decoration: -webkit-letterpress;">
È presente un continuo dinamismo nelle sue sculture, un movimento sia del soggetto rappresentato sia della materia che lo costituisce: l'homme qui marche, marcia, cammina verso di noi, non sta fermo, ha il passo deciso, costante del contadino montanaro. Un passo che non esprime incertezza, semmai prudenza. È il passo "non più lungo della gamba" che l'uomo concretamente attaccato alla terra sa di dover fare per rimanere al mondo, ma non fermo nel mondo. Pertanto eretto, decoroso, non fiero, la fierezza non è un sostantivo che si adatta all'uomo giacomettiano così intimo, profondo, che si proietta su una dimensione a cui non appartiene la retorica. </div>
<div style="-webkit-composition-fill-color: rgba(130, 98, 83, 0.0980392); color: rgba(0, 0, 0, 0.701961); font-family: UICTFontTextStyleBody; font-size: 17px; text-decoration: -webkit-letterpress;">
<a href="http://images.arcadja.com/scheidegger_ernst-alberto_dans_son_atelier~OM287300~10015_20090325_12955_6.jpg" imageanchor="1" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" src="http://images.arcadja.com/scheidegger_ernst-alberto_dans_son_atelier~OM287300~10015_20090325_12955_6.jpg" /></a>La materia stessa è movimento incessante, frutto degli infiniti tentativi di dita ossute come rami di darle una forma definitiva, ultimativa. Una superficie increspata da chissà quali abitudini, turbamenti, pensieri, venti del desiderio e delle angosce. Giacometti sembra voler costantemente rappresentare una verità in divenire che prende e cambia forma sotto le sue mani, davanti ai suoi occhi. Una realtà di cui egli stesso non conosce la natura, ne coglie solo il bisogno di esprimersi: una realtà che produce il suo stupore, che è sempre nuova ai suoi occhi e non afferrabile. Una realtà che è una sfida costante, una messa alla prova.</div>
<div style="-webkit-composition-fill-color: rgba(130, 98, 83, 0.0980392); color: rgba(0, 0, 0, 0.701961); font-family: UICTFontTextStyleBody; font-size: 17px; text-decoration: -webkit-letterpress;">
Una domanda che l'osservatore non può fare a meno di porsi è pertanto quanto l'opera di Giacometti rifletta la personalità del suo autore: in che misura la sua dimensione del fare contenga la dimensione dell'essere. Una domanda che invero può essere rivolta all'opera di qualsiasi artista, ma che in Giacometti sembra essere suggerita con un tono di voce più udibile e ineludibile.</div>
<div style="-webkit-composition-fill-color: rgba(130, 98, 83, 0.0980392); color: rgba(0, 0, 0, 0.701961); font-family: UICTFontTextStyleBody; font-size: 17px; text-decoration: -webkit-letterpress;">
Da quello che abbiamo visto e ci siamo detti, si potrebbe concludere che le intenzioni di Giacometti sfuggano all'artista e che non sia capace di rappresentare in toto materialmente le proprie visioni e intuizi<br />
oni, vinto da un'ansia che non gli dà tregua, lo perseguita e lo incarcera, mettendolo difronte ai propri limiti umani e artistici. Lo possiede un'ambizione troppo grande per le sue capacità o forse per le capacità di qualunque artista: la rappresentazione della condizione umana.</div>
<div style="-webkit-composition-fill-color: rgba(130, 98, 83, 0.0980392); color: rgba(0, 0, 0, 0.701961); font-family: UICTFontTextStyleBody; font-size: 17px; text-decoration: -webkit-letterpress;">
Questa incapacità, questa condizione esistenziale come "essenza mancante" tuttavia emerge evidente: l'opera esprime totalmente la sua ansia, la sua minorazione rispetto alle intuizioni, ai richiami a qualcosa di più universale e profondo.</div>
<div style="-webkit-composition-fill-color: rgba(130, 98, 83, 0.0980392); color: rgba(0, 0, 0, 0.701961); font-family: UICTFontTextStyleBody; font-size: 17px; text-decoration: -webkit-letterpress;">
Ne consegue poi un'altra domanda: quanto le sculture di Giacometti, nel rappresentare la sua inadeguatezza rispetto ai bagliori di una realtà più grande, siano in grado di contenere tutta l'imperfezione dell'artista. Espresso in altri termini, data l'imperfezione e la costante mancanza di compimento della sua arte, quanto questa mancanza in realtà esaurisce tutto quello che Giacometti è capace di dire e di fare? Abbiamo forse arbitrariamente concluso che l'autore non riesce a esprimere quello che vuole, ma ci chiediamo se egli esprima in questa "lacuna" tutto se stesso o ci sia dell'altro che non vediamo perché non si è materializzato, non ha trovato vita nell'espressione figurativa.</div>
<div style="-webkit-composition-fill-color: rgba(130, 98, 83, 0.0980392); color: rgba(0, 0, 0, 0.701961); font-family: UICTFontTextStyleBody; font-size: 17px; text-decoration: -webkit-letterpress;">
<a href="http://image.slidesharecdn.com/to-be-or-not-to-be-our-frustration-with-education-130504061024-phpapp01/95/to-be-or-not-to-be-frustrations-innovation-in-education-3-638.jpg?cb=1367665870" imageanchor="1" style="clear: right; float: right; margin-bottom: 1em; margin-left: 1em;"><img border="0" src="http://image.slidesharecdn.com/to-be-or-not-to-be-our-frustration-with-education-130504061024-phpapp01/95/to-be-or-not-to-be-frustrations-innovation-in-education-3-638.jpg?cb=1367665870" height="240" width="320" /></a>Nell'accademico dialogo tra fare ed essere siamo in questo caso indotti a pensare che il fare non esaurisca l'essere, che Giacometti cioè trascenda la sua opera. Niente infatti ci viene detto dei gesti scartati, della materia buttata, del processo di selezione, di tutto quello che non andava bene al vaglio dell'occhio e del cuore dell'artista. Non sappiamo nulla dei suoi "rifiuti", di quel che non riteneva degno di ulteriori tentativi, ma di esclusione, cancellazione o rimodellamento. Un'opera artistica non è mai in grado di dirci nulla del processo complesso che ha portato alla sua realizzazione, ne vediamo infatti solo il risultato finale: non sappiamo nulla del momento dell'ideazione, dei ripensamenti, dello svolgersi del lavoro, delle costrizioni, delle modalità di scelta dei materiali, dei contributi eventualmente apportati da altri, dei contrasti, dell'ambiente che ne ha ispirato la realizzazione, l'ha condizionata o bloccata. Un'opera porta in sé la mancanza, l'abbandono di tutto quanto non era ancora se stessa. Si stacca dall'albero come un frutto e rotola lontano e non sappiamo più nulla dell'albero che l'ha generato, l'acqua, il sole, la terra che l'hanno fatto crescere. Molto è quindi lasciato all'immaginazione di noi osservatori, esperti o profani, a quello che l'opera riesce a ispirarci. L'interpretazione soggettiva ha il potere di trovare nutrimento non solo nelle eventuali conoscenze e competenze artistiche dell'osservatore, ma soprattutto nelle sue personali riflessioni ed emozioni che non di rado non hanno origine nel contatto con l'arte, ma che attraverso l'esperienza artistica trovano un nuovo significato, una nuova forma e diventano più pienamente comprensibili. L'arte diventa così strumento maieutico capace di far emergere e attribuire senso, valore, reinterpretando la propria esperienza esistenziale in modo più ampio e più ricco. L'opera di Giacometti, proprio per la sua indefinibilità fisica, materiale, i suoi confini aperti, la sua imperfezione e incompiutezza, sembra possedere un potere educativo - in senso etimologico, forse addirittura taumaturgico - ancora più forte, più imbrigliante l'attenzione e la sosta dello sguardo dell'osservatore su di essa.</div>
<div style="-webkit-composition-fill-color: rgba(130, 98, 83, 0.0980392); color: rgba(0, 0, 0, 0.701961); font-family: UICTFontTextStyleBody; font-size: 17px; text-decoration: -webkit-letterpress;">
<a href="http://www.theminimalists.com/files/2012/04/Perfectionist.jpg" imageanchor="1" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" src="http://www.theminimalists.com/files/2012/04/Perfectionist.jpg" height="213" width="320" /></a>Un potere che induce a indagare oltre, a capire, a esplorare la metafisica dell'opera, ma anche ad approfondirne lo studio in un dominio che non è solo intellettuale, ma è attraversato dall'esperienza personale vissuta dal soggetto, diventando per lui profondamente e diversamente simbolico ed evocativo.</div>
<div style="-webkit-composition-fill-color: rgba(130, 98, 83, 0.0980392); color: rgba(0, 0, 0, 0.701961); font-family: UICTFontTextStyleBody; font-size: 17px; text-decoration: -webkit-letterpress;">
Per questo credo che Alberto Giacometti sia un artista che possa dare infinite suggestioni da cui trarre ispirazione in diversi contesti e segmentazioni della vita di ognuno di noi e che cercherò di affrontare in un prossimo articolo in cui cercherò di contrapporre sete di perfezione e bisogno di cambiamento. Se non vi darà noia.</div>
Luca B. Fornarolihttp://www.blogger.com/profile/03748694256234831605noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-1001959283733705090.post-10563716435635870102015-01-12T13:34:00.000+01:002015-03-25T00:33:06.228+01:00Alberto Giacometti e noi - 1<a href="http://www.christies.com/lotfinderimages/d51762/d5176262l.jpg" imageanchor="1" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" src="http://www.christies.com/lotfinderimages/d51762/d5176262l.jpg" height="200" width="155" /></a>Una povera mostra a Milano su Giacometti è stata l'occasione per qualche riflessione sul fare, il lavoro, il creare un'opera indipendentemente dalla natura dell'opera stessa: una scultura - come nel caso di Giacometti - un'auto, un oggetto qualsiasi o un documento, relazione, grafico.<br />
Le riflessioni, se così pomposamente vogliamo chiamarle, sono state ispirate sia dalle opere dell'artista grigionese sia dal suo percorso intellettuale e artistico e non ultimi da alcuni aspetti della psicologia di Giacometti che sembrano emergere dalle sue figure.<br />
Innanzitutto, che cosa stavo cercando? Nulla, solo un po' di ispirazione perché sono convinto che l'arte abbia il potere di far nascere pensieri, suscitare emozioni contrastanti. Anche quando non la si capisce; soprattutto forse quando non la si capisce. Non credo di avere mai capito Giacometti e forse non l'ho capito neppure ora. Mi interessa solo ragionare su quello che ho visto.<br />
<a href="http://www.decorarconarte.com/WebRoot/StoreES2/Shops/61552482/4A54/781E/70C4/9B16/A3F9/C0A8/2936/18A5/ombra_della_sera.JPG" imageanchor="1" style="clear: right; float: right; margin-bottom: 1em; margin-left: 1em;"><img border="0" src="http://www.decorarconarte.com/WebRoot/StoreES2/Shops/61552482/4A54/781E/70C4/9B16/A3F9/C0A8/2936/18A5/ombra_della_sera.JPG" height="320" width="177" /></a>Pensare a Giacometti significa per me pensare a immagini, proiezioni plastiche verticali, che si stagliano in uno spazio vuoto facendone da cesura: sembrano imporsi nella loro fragilità e sembrano depositarie di un mistero che non si riesce a cogliere. Ricordano quelle figure bronzee etrusche come la cosiddetta "Ombra della Sera" di Volterra (immagine a destra). Certamente l'arte etrusca ha influenzato l'opera di Giacometti, fin dalle sue prime teste che tuttavia trovo abbiano poca carica evocativa. Mentre impressionante è la sua capacità di farle rivivere nelle sculture delle figure umane.<br />
L'artista svizzero ha subito suo malgrado parecchie etichettature: quella <br />
stucchevole abitudine intellettuale che tende a imprigionare qualsiasi manifestazione della cultura all'interno di categorie precostituite che semplificano e impoveriscono la portata degli artisti migliori, arricchiscono <br />
quella dei peggiori e affratellano tra loro chi non ha alcuna relazione di parentela. Sono esercizi di menti pigre, spaventate dal nuovo e dall'ignoto e bisognose di classificare e ridurre tutto a una realtà nota perché è un modo come un altro per esercitare il proprio potere nelle accademie, sui giornali, nei ministeri, nei mercati. Giacometti fu considerato cubista, surrealista e da ultimo, da quel gran sacerdote della filosofia francese moderna, J.P. Sartre, esistenzialista. Giacometti rifiutava tutte queste gabbie concettuali che hanno l'unico merito di evidenziare il tortuoso percorso esistenziale del grigionese. Un continuo attraversare i significati, le interpretazioni, le diverse modalità espressive. Una costante mancanza di definizione ultima, un mutamento continuo, mai compiuto, mai perfetto, mai approdato. Provo molto turbamento nell'accostarmi alla materializzazione di tutta questa insoddisfazione palpabile per l'opera compiuta. Forse addirittura per le proprie capacità di artista, quel che sa fare, quel che è. Una continua apparente tensione verso quel che non riesce mai a essere.<br />
Mi soffermo sulle tante versioni de l'"Homme qui marche", di cui neanche una era presente alla mostra milanese. Povera per numero delle opere, misera per i contenuti didattici e gli allestimenti.<br />
<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="http://photos.tuxboard.com/wp-content/uploads/2010/02/Homme-qui-marche-giacometti-140-millions-dollars.jpg" imageanchor="1" style="clear: right; float: right; margin-bottom: 1em; margin-left: 1em;"><img border="0" src="http://photos.tuxboard.com/wp-content/uploads/2010/02/Homme-qui-marche-giacometti-140-millions-dollars.jpg" height="212" width="320" /></a></div>
L'uomo che marcia, gli uomini che marciano, sculture lunghe, strette, che appaiono ancora più lunghe di quello che sono. Sembrano appartenere a uno spazio metafisico, che non è il nostro. Possiamo girare loro intorno, ma loro sono altrove, dove noi non riusciamo a essere. Ci rappresentano nella nostra incompletezza, ma a differenza di noi sembrano capaci di proiettarsi in avanti, venirci incontro ignorandoci. Hanno la sconvolgente caratteristica contraddittoria di una fissità dinamica. Separano il loro spazio dal nostro, come confini, come esili colonne d'Ercole della nostra esistenza. Simultaneamente, tenendoci distanti, a una distanza esistenziale, in una quarta dimensione in cui poterci specchiare, ci rappresentano, si impongono alla nostra attenzione, ci turb<br />
ano, ci parlano di noi, convergenze di tutte le nostre esperienze e attimi di vita. Lo fanno con la loro totale mancanza di realismo e di naturalismo: sembrano proiezioni, senza sguardi, senza lineamenti, senza forme definite. Sono raccolte di gesti manuali, cenni mentali. La loro superficie è un campo indefinito di impronte di dita incapaci di fermarsi, bisognose di plasmare, riplasmare, toccare, modellare, rimodellare senza sosta perché quella cavità non va più bene, quel rigonfiamento ha perso il suo senso nel momento stesso in cui andava formandosi sotto i polpastrelli. Una superficie che è un mare mai fermo, un dinamismo incessante che contrasta con la staticità di noi che guardiamo, giriamo loro intorno, furtivamente le tocchiamo. Come uno scrittore passa in rassegna decine di parole per cercare l'unica che soddisfa il suo desiderio di esprimersi, così Giacometti sembra selezionare i movimenti delle mani, non riuscendo mai a trovare quello che corrisponde pienamente a quel che vuol rappresentare. È sintomo di incapacità di esprimersi questa continua cancellazione e ricerca di gesti o è piuttosto un modo per cercare di catturare la realtà che, per sua natura, è in costante mutazione? Osservi e quel che osservi si modifica proprio a causa della tua osservazione, hanno scoperto i fisici quantistici contemporanei di Giacometti. Egli coglie il divenire che la nostra staticità mentale non riesce a percepire. Afferra il momento e lo proietta sul piano del destino delle nostre esistenze. Le opere non sembrano quindi essere attraversate da una tensione verso il bello, l'armonia, il piacere estetico. Piuttosto, dalla disperazione nella capacità di rappresentare una realtà apparentemente senza possibilità di compimento. Non una proiezione verso la perfezione, l'opera compiuta, michelangiolesca, ma l'angosciante aspirazione a rappresentare la condizione umana.<br />
<a href="http://3.bp.blogspot.com/-eQeS_1Jb8Fk/VHNxac30UWI/AAAAAAAEBEE/3_qMH0KEUAI/s1600/Alberto%2BGiacometti%2BTutt'Art@-%2B(22).jpg" imageanchor="1" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" src="http://3.bp.blogspot.com/-eQeS_1Jb8Fk/VHNxac30UWI/AAAAAAAEBEE/3_qMH0KEUAI/s1600/Alberto%2BGiacometti%2BTutt'Art@-%2B(22).jpg" height="288" width="320" /></a>Se l'uomo sembra non poter essere definitivamente rappresentato, descritto, raccontato, se non per infinite approssimazioni, questa non riproducibilità figura<br />
tiva ricorda molto da vicino l'ineffabilità del divino. Un divino che è come impura imperfezione.<br />
<br />
Cosa possiamo trovare muovendoci un po' al di là del nostro rapporto diretto con l'opera dell'artista e del riscontro della nostra immaginazione, pensieri ed emozioni rispetto ad essa? Innanzitutto, la difficoltà di capire la realtà nella sua completezza e complessità. Un'esperienza che facciamo quotidianamente, ma che risolviamo con un gesto di presunzione di comprensione che ci fa perdere dettagli, sostanza, significati e ce ne fa cogliere solo alcuni e attribuirne arbitrariamente altri. Dovremmo forse essere più consapevoli che qualsiasi tentativo di interpretazione delle realtà, degli uomini, dei comportamenti sia solo un insieme ridotto di approssimazioni. Una modellizzazione, appunto, non esaustiva e non generalizzabile.<br />
Inoltre, la storia stessa di Giacometti, il suo percorso intellettuale, ci devono aiutare a capire che le abituali categorie con cui analizziamo e cataloghiamo il mondo non sono adatte per il nuovo che emerge dall'ordinario: non sono adatte perché riducono il non conosciuto al già noto e non sono adatte perché sono statiche, non dinamiche, hanno i confini rigidi, frontiere presidiate, non evolvono, non si liquefano scorrendo lungo i vari rivoli del sapere. Tendono piuttosto ad arginare esperienze e conoscenze. Ecco quindi che Giacometti non è abbastanza cubista né surrealista né esistenzialista. Giacometti - secondo questa comune attività riduzionista - non può essere letto come Giacometti e basta, ma deve essere ricondotto a qualcos'altro, un sé più povero, ma più facilmente conoscibile, dominabile. Quante volte facciamo lo stesso esercizio con chi abbiamo intorno, chi collabora con noi, i nostri familiari, in un tentativo di addomesticamento della realtà. Quante volte il nuovo ci fa talmente paura, ci disorienta a tal punto da spingerci a rinominarlo con un nome già usato e abusato, ad assimilare i non simili perché così facendo non ci sentiamo esclusi dai nuovi processi che prendono vita intorno a noi.<br />
Il disagio, l'ostacolo della non omologabilità de l' "Homme qui marche", l'uomo che cammina lungo direzioni che non sono quelle che abbiamo pensato e progettato per lui: l'uomo che nella sua imperfezione, nella sua incompletezza, mostra il palpito silenzioso della propria libertà e originalità e si impone alla nostra coscienza. Invece di coglierne la ricchezza, le potenzialità inespresse o in formazione, invece di riscoprire in noi stessi le sue infinite dialettiche, ne siamo disturbati, lo vorremmo fermo, ben identificato, chino sui suoi compitini, ingranaggio della macchina organizzativa di cui siamo vittime e artefici.<br />
<a href="http://www.lepoint.fr/images/2010/06/24/120068-une-giaco-oki_33987.jpg" imageanchor="1" style="clear: right; float: right; margin-bottom: 1em; margin-left: 1em;"><img border="0" src="http://www.lepoint.fr/images/2010/06/24/120068-une-giaco-oki_33987.jpg" height="137" width="320" /></a>Qualsiasi anelito alla perfezione sembra coincidere con la pretesa di decidere di porre fine a un processo in evoluzione a un certo "punto fermo" del suo sviluppo. Sono i nostri limiti cognitivi e interpretativi - e la nostra ambizione - che lo hanno fissato d'imperio perché appagante, in quanto corrispondente al bisogno di credere in una perfezione per sottrarci alla responsabilità di affrontare un divenire continuo, spaventati dalla nostra e dall'altrui libertà.Luca B. Fornarolihttp://www.blogger.com/profile/03748694256234831605noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-1001959283733705090.post-77578712790375667272014-02-19T17:45:00.000+01:002014-02-19T17:45:32.339+01:00Il tradimento del Bello<div class="MsoNormal">
<span style="font-family: Arial; font-size: 10.0pt;"><i>Ho pubblicato questo mio articolo anche su <a href="http://thebutterfliers.blogspot.it/">The Butterfliers</a> il blog sulla formazione frutto della collaborazione con Patrizia Spaggiari.</i></span></div>
<div class="MsoNormal">
<span style="font-family: Arial; font-size: 10.0pt;"><br /></span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">Dopo il bel film di Sorrentino, la
bellezza sembra essere diventata di moda: se ne parla ovunque, sui media, in
pubblicità, nell'industria del lusso, ma anche nella formazione. Anzi, in
quest'ultimo ambito sembra essere diventata una specie di mantra quotidiano: la
bellezza e il benessere, la bellezza e l'impresa, salute e bellezza, la
bellezza della fabbrica - per chi ha nobili sussulti olivettiani - la bellezza
e la leadership e chi più bellezza ha più ne metta. Noi stessi sono più di due
anni che ci occupiamo con fatica e soddisfazione di bellezza e lavoro, di
rapporti tra bello e buono, etica ed estetica. </span></div>
<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhKflPyk3OOBfrtbjOf2zMQoivlyAAiDw9wBVM3ldfY9-kioPL0pbBOT39QwzvCPmJVlaykqkI9oberp8XR1kbHPkZcMldKCrUe-s4kHtsa0uFwk2gj4g47m4ZRdl_sUWqoapmiPF4OxWk/s1600/Fontana.jpg" imageanchor="1" style="clear: right; float: right; margin-bottom: 1em; margin-left: 1em;"><img border="0" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhKflPyk3OOBfrtbjOf2zMQoivlyAAiDw9wBVM3ldfY9-kioPL0pbBOT39QwzvCPmJVlaykqkI9oberp8XR1kbHPkZcMldKCrUe-s4kHtsa0uFwk2gj4g47m4ZRdl_sUWqoapmiPF4OxWk/s1600/Fontana.jpg" height="200" width="163" /></a></span></div>
<span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;"><o:p></o:p></span><br />
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">Proprio per questa ragione proviamo
un senso di disagio - per non dire di fastidio - rispetto all'abuso che si sta
perpetrando in nome dell'arte e della bellezza. Non c'è niente di più brutto e
di più lontano dall'arte dello sfruttare quest'ultima per meri interessi
commerciali, per vellicare interesse e curiosità, per camuffare un prodotto e
un servizio vuoti di significato e di qualità, per qualcosa di innovativo,
rivoluzionario, simbolico. In realtà si tratta spesso di operazioni di make up
che con la riflessione sul bello, il buono e il bene hanno poco a che vedere.
Pretesti per stupire, per sembrare diversi, ma in realtà non in grado di
scatenare quegli impulsi alla libertà che soli producono bellezza. Intendiamoci
subito, non si vuole dire che fare della formazione o della consulenza centrata
sull'idea di bellezza sia </span></div>
<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgyr92lFqe_IC1HYRK8y8AiD_BC_zZaGAm8WMbzvRrVjP8VsoqVqqC-gImjA2r_tTlwchkmabHXwJXYpVb9vh-HKmJfA0uJwHQ88SCCVNfp0VVMyYyYBTsgSmfIaLo-fDKialhdbs3xGss/s1600/Rothko.jpg" imageanchor="1" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgyr92lFqe_IC1HYRK8y8AiD_BC_zZaGAm8WMbzvRrVjP8VsoqVqqC-gImjA2r_tTlwchkmabHXwJXYpVb9vh-HKmJfA0uJwHQ88SCCVNfp0VVMyYyYBTsgSmfIaLo-fDKialhdbs3xGss/s1600/Rothko.jpg" height="200" width="149" /></a></span></div>
<span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">comportarsi in modo inautentico: noi stessi abbiamo
progettato della formazione a pagamento che in qualche modo strumentalizza il
bello. Tuttavia, la vera differenza è nei fini e nei mezzi che le persone
utilizzano. La nostra finalità non è vendere un corso: se fosse così avremmo
scelto una strada meno impervia. La nostra finalità è contribuire a cambiare il
rapporto che ognuno di noi ha con il lavoro e, per farlo, abbiamo speso il
nostro tempo e le nostre energie per strutturare degli interventi che hanno al
proprio cuore quella espressione e ricostruzione della realtà che solo l'arte
può rendere materialmente visibile. L'arte parla a ognuno con linguaggi
diversi: esige solo di essere osservata per poter scatenare tutta la sua forza
rivelatrice di chi siamo, che cosa vogliamo, le nostre passioni e le nostre
paure. Quale mondo interiore squarciano i tagli di Fontana? Che cosa nascondono
i colori crepuscolari delle grandi tele di Rothko? Quanto ci rappresentano
quelle lattine di zuppa che in Warhol sembrerebbero essere tutte uguali? Quali
confini sottili scopriamo tra il sublime<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEitIncMpYIjjfRi_o-dd9TryT5tX1XS2QZThPU9SlD_2a55THK8ONxV58J23sXChmh4nsyPQkImSYGXjh6iP_icx2Ok8S-Lq0U3Dm3gZvdxvg8_5JHNHgPXrvxsOQ6cZcENlRPlnRnf2IA/s1600/Warhol.jpg" imageanchor="1" style="clear: right; float: right; margin-bottom: 1em; margin-left: 1em;"><img border="0" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEitIncMpYIjjfRi_o-dd9TryT5tX1XS2QZThPU9SlD_2a55THK8ONxV58J23sXChmh4nsyPQkImSYGXjh6iP_icx2Ok8S-Lq0U3Dm3gZvdxvg8_5JHNHgPXrvxsOQ6cZcENlRPlnRnf2IA/s1600/Warhol.jpg" height="200" width="143" /></a></div>
e il demoniaco nell'opera di Bach?
Quale modello di produzione e di società sa ancora sbatterci in faccia
"Tempi moderni" di Chaplin? <o:p></o:p></span><br />
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">Nell'opera d'arte l'immaginario e il
lavoro dell'artista si fondono con gli intimi recessi dell'osservatore. Si
realizza un costante passaggio di consegne, un'attrazione o una repulsione che
superano le barriere difensive. L'arte è strettamente connessa con il potere,
un potere superiore a quello tradizionale, un potere ancestrale, tenuto
nascosto, capace di smuovere gli animi. Un potere così connesso con la libertà
da terrorizzare o produrre le vertigini in chi coltiva quelle forme di potere
materiale che invece si fondano sulla rappresentazione falsata del reale e
sulla costrizione o sullo svilimento della libertà.<o:p></o:p></span></div>
<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEirQ_wc7-HSM4xZNFbAJ9ygIGMbdxcOrVG0oWjCAJkPBs2e4ItR0jsdH39S9wxhs6wXr7UBLQ47V1tO5waCU-vS1AeIh7aG263bLQvHOHzKZCG21SnWCr3ru2hSjqP0LKu762LFO1asDjM/s1600/Tempi+moderni.jpg" imageanchor="1" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEirQ_wc7-HSM4xZNFbAJ9ygIGMbdxcOrVG0oWjCAJkPBs2e4ItR0jsdH39S9wxhs6wXr7UBLQ47V1tO5waCU-vS1AeIh7aG263bLQvHOHzKZCG21SnWCr3ru2hSjqP0LKu762LFO1asDjM/s1600/Tempi+moderni.jpg" /></a></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">Il nostro proposito è dunque il
recupero della consapevolezza del cambiamento e la riscoperta delle premesse
per la sua realizzazione. Un cambiamento che è tale solo se apporta una libertà
maggiore a chi ne è investito, che è orientato a migliorare - cioè,
letteralmente, rendere più buono, più pieno di bene - l'ambiente di lavoro, le
relazioni umane e professionali, i beni materiali che vengono prodotti. Che poi
è il significato proprio dei due caratteri che rappresentano il kaizen.<o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">L'importante è cercare di incarnarlo
con onestà e trasparenza e non tradirlo e corromperlo attraverso volgari
esigenze di marketing che non potranno mai piantare radici da cui crescano
querce.<o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;"><br /></span></div>
<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEj4D1gvlbwDP6jc63fA4yL0stj9CY9VHjSpcA0s3ZSy60B-VjxgJQK9_ktHGO9gyMA_sSSEZHlgu1Rw1UKndcG0F_xgzimO0N76oC7P0iyPvjkLvF3VQ9Fx4YYOgxW5FS3fVkXhtLjDNPs/s1600/Kaizen.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEj4D1gvlbwDP6jc63fA4yL0stj9CY9VHjSpcA0s3ZSy60B-VjxgJQK9_ktHGO9gyMA_sSSEZHlgu1Rw1UKndcG0F_xgzimO0N76oC7P0iyPvjkLvF3VQ9Fx4YYOgxW5FS3fVkXhtLjDNPs/s1600/Kaizen.jpg" height="156" width="200" /></a></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<br /></div>
Luca B. Fornarolihttp://www.blogger.com/profile/03748694256234831605noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-1001959283733705090.post-42592409760403072132013-07-09T00:50:00.000+02:002013-07-09T00:50:12.222+02:00L'estetica del valore lavoro<div style="margin-bottom: 0cm;">
<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjVcOvkfE6CRF2eQG6oU5zJRt_0rkLD18x9hzGwqLpf8BOBy-8kqp4tDzp5wvG-0aK5M_ydTl0kkhrhQ2_IvFwBBsh2BoD8NNZCUsi4CPxAQIU45yJfM4bg20cj5HManO9NpeIXzL6EKuo/s1600/warhol_marilyn.jpg" imageanchor="1" style="clear: right; float: right; margin-bottom: 1em; margin-left: 1em;"><img border="0" height="200" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjVcOvkfE6CRF2eQG6oU5zJRt_0rkLD18x9hzGwqLpf8BOBy-8kqp4tDzp5wvG-0aK5M_ydTl0kkhrhQ2_IvFwBBsh2BoD8NNZCUsi4CPxAQIU45yJfM4bg20cj5HManO9NpeIXzL6EKuo/s200/warhol_marilyn.jpg" width="191" /></a><span style="font-family: Arial, sans-serif;">L’arte
figurativa, la letteratura e la musica hanno, tra i numerosi pregi,
quello di stimolare il pensiero, dare suggerimenti e creare
suggestioni che possono spingere a qualche insolita riflessione sul
mondo intorno a noi. Mentre gettano un lampo di luce sulla
comprensione dei fenomeni, proiettano anche un’ombra di dubbio là
dove tutto sembra limpidamente certo. </span>
</div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Arial, sans-serif;">Nel
precedente post avevo cercato di mettere in relazione la pop-art di
Andy Warhol con un oggetto di culto come l'iPod, rilevando come nella
prima siano stati trasfigurati in forma artistica non solo i prodotti
di massa come la zuppa Campbell, ma anche il processo stesso di
produzione attraverso la continua riproposizione in vari colori dello
stesso manufatto. Il genio di Warhol e la sua capacità di
interpretare e influenzare la modernità sono andati tuttavia oltre:
è sintomatico infatti che, tra le merci in serie, egli abbia
considerato anche i personaggi pubblici, gli attori, i politici, le
icone che ai suoi tempi riempivano le pagine di Life e Time o gli
schermi televisivi. Loro stessi erano e sono percepiti e
rappresentati come oggetti, in qualche modo, resi accessibili al
pubblico attraverso i media e continuamente riproducibili in varie
versioni. Tuttavia Warhol non si è fermato alla rappresentazione dei
prodotti e del processo, ma, attraverso la sua stessa persona, il suo
essere artista, ha saputo divenire l'incarnazione della fabbrica:
proprio grazie alla reiterazione del medesimo atto creativo, che
diventa la trasfigurazione del concetto di riproduzione all'infinito,
ha letteralmente “lanciato” sul mercato dell’arte un'identica
gamma di merci differenti: la zuppa Campbell, Mao, la Taylor, la
Monroe, ecc.</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br />
</div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Arial, sans-serif;">Nel caso
dell'iPod, invece, non è il prodotto di massa a diventare arte, ma –
come ho scritto – è l'estetica che riveste di sé il bene di largo
consumo: la tela è rappresentata dall'alluminio, dalla plastica, dal
silicio dell'iPod su cui viene depositata un'idea di bellezza delle
forme e dei colori; la materia diviene simbolo di una concezione
estetica e di appartenenza a un gruppo di persone che la comprendono
e la condividono.</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEg8plheCmhal3l2uvdgd2cNUjdiDgEbm8EQf_ZxjySzq_uiTXpWFI9BMTodzkrYy_6RyvTitVz8GYxZgFFsOtbYpOKWaNthLNO8eEu9HJGTr-noo_L0ITbZdro6JCAM6hdaOplD4NvcmGc/s1600/victoriabeckhamhermes_01.jpg" imageanchor="1" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" height="132" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEg8plheCmhal3l2uvdgd2cNUjdiDgEbm8EQf_ZxjySzq_uiTXpWFI9BMTodzkrYy_6RyvTitVz8GYxZgFFsOtbYpOKWaNthLNO8eEu9HJGTr-noo_L0ITbZdro6JCAM6hdaOplD4NvcmGc/s200/victoriabeckhamhermes_01.jpg" width="200" /></a><span style="font-family: Arial, sans-serif;">Si può
allora immaginare il lettore musicale della Apple come il risultato
di un tipo di marketing che segmenta l'acquirente in base ai gusti e
allo stile di vita cercando di definire anche una nuova identità: il
suo prezzo – significativamente più alto di quello dei concorrenti
- comprende così non solo le sue prestazioni, ma soprattutto l'idea
che ne sta alla base. Diviene oggetto imitato, copiato e nessuna
imitazione è in grado di veicolare gli aspetti immateriali che
rendono l'iPod diverso. Il fenomeno riguarda – con diverse
sfumature - anche altri prodotti di culto, come le agende Moleskine,
la Vespa, i Mac, le scarpe Tod's o Camper, le borse di Gucci o
Hermès; un tempo, gli impermeabili Burberry's e, con una
connotazione più politica, l'eskimo o i desert boots Clark's.</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br />
</div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Arial, sans-serif;">Il
percorso che conduce dalla mera funzionalità e utilità delle cose
alla realizzazione di oggetti che siano anche simboli di una
concezione estetica o di un’appartenenza identitaria si può
ulteriormente arricchire di significati che derivano da una visione
etica del lavoro. Essa fa riferimento all'attività fisica e
intellettuale necessaria per arrivare alla realizzazione del prodotto
e all’organizzazione di mezzi e risorse che ne consente la
realizzazione. In altri termini, il prodotto non esprime più solo
un'idea di bellezza sensoriale e di appartenenza, ma anche
un'estetica del lavoro. L'oggetto passa dall'essere considerato bello
perché ha una bella forma, all’essere bello perché creato
perseguendo un'idea di bene che si vuole condividere. Un bene che si
concretizzi in rapporti tra l'azienda e le persone che siano
rispettosi della dignità di tutti - lavoratori e imprenditori –
che siano tesi a rendere possibile ed evidente la manifestazione
della personalità di ognuno anche nell'attività che sta svolgendo.
Un oggetto che sia contemporaneamente simbolo di libertà e
creatività, ma anche di responsabilità verso gli altri e verso
l'ambiente. Un prodotto che non sia il risultato della scissione tra
persona e lavoro nata con la produzione di massa agli inizi del
secolo scorso. Il lavoro deve ritornare ad essere intimamente
collegato con i pensieri, le motivazioni e i bisogni di chi lavora e
con il territorio da cui si origina. Non significa per questo dover
abbandonare la modernità e ritornare a forme di artigianato o a
prodotti che solo in pochi si potrebbero permettere: significa invece
fare in modo che tutto il meglio che c'è nelle persone, in termini
di inventiva, capacità di trovare soluzioni, pensiero critico e
abilità fisica, possa trovare piena espressione. Non è difficile e
non è costoso se si comincia a riposizionare le relazioni umane al
centro della vita dell'impresa e si abbandona una volta per tutte il
cliché disumanizzante che utilizza la contabilità come debole, ma
spietato paravento. </span>
</div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Arial, sans-serif;">Il
consumatore stesso si sentirebbe parte attiva in un processo virtuoso
e appartenente a un gruppo di persone che si identificano in una
concezione della società non separata dagli individui che la
compongono: il rapporto stesso con le cose cambierebbe. Egli
cesserebbe di essere solo “colui che consuma”, diventando invece
“colui che contribuisce e che usa”. Una volta fatto l'acquisto,
non sarebbe più solo soggetto passivo, ma parte integrante del
processo di produzione che assume la forma di un processo di
rinnovamento della società attraverso la valorizzazione del lavoro.</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Arial, sans-serif;">Si
passerebbe così forse da un'estetica che appaga i sensi a
un'estetica dei sentimenti, a cui tre secoli fa già richiamava Adam
Smith nella sua colpevolmente dimenticata “Teoria dei sentimenti
morali”. Una “dimenticanza” che ha snaturato il capitalismo
degradandolo a essere una parafrasi materialista della vita, in cui
il lavoro ha valore economico, ma non è in sé un valore.</span></div>
<br />
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Arial, sans-serif;"><br /></span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhluwvi3u9GjBVTbOSkHetaS_hpZsV7MLUrsI5yTEtx4hVVXv7HyyfsT-KvqIL52gYtWxislucKngS6H3g_JsG0o5WcjJU9wFgdvp7aNEy5Cmo16Ce6RPpyigD3OxjJxYc3Sn42NdUst0o/s1600/mario_sironi_016_paesaggio_urbano_e_camion_1920%5B1%5D.jpg" imageanchor="1" style="clear: right; float: right; margin-bottom: 1em; margin-left: 1em;"><img border="0" height="240" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhluwvi3u9GjBVTbOSkHetaS_hpZsV7MLUrsI5yTEtx4hVVXv7HyyfsT-KvqIL52gYtWxislucKngS6H3g_JsG0o5WcjJU9wFgdvp7aNEy5Cmo16Ce6RPpyigD3OxjJxYc3Sn42NdUst0o/s320/mario_sironi_016_paesaggio_urbano_e_camion_1920%5B1%5D.jpg" width="320" /></a><span style="font-family: Arial, sans-serif;">Non
credo ci sia alternativa a un rinnovato recupero della dimensione
umana dell'economia e del valore del lavoro se non si vuole
precipitare in un mondo non dissimile da quello così ben
rappresentato nell'opera artistica di Mario Sironi. Cupi paesaggi,
fabbriche, capannoni, </span><span style="font-family: Arial, sans-serif;">Non
credo ci sia alternativa a un rinnovato recupero della dimensione
umana dell'economia e del valore del lavoro se non si vuole
precipitare in un mondo non dissimile da quello così ben
rappresentato nell'opera artistica di Mario Sironi. Cupi paesaggi,
fabbriche, capannoni, ciminiere, Sironi ottant’anni fa capisce che,
attraverso la produzione industriale, il lavoro rischia di essere
chiuso in uno spazio inaccessibile e poco distinguibile, una realtà
che lo spettatore del dipinto può solo faticosamente immaginare non
senza un brivido di sconcerto. La fabbrica di Sironi può infatti
essere quella dove l’osservatore passa la maggior parte del proprio
tempo, dove svolge macchinalmente il proprio lavoro senza rendersi
conto del suo essere un lugubre luogo di sofferenza, di fatica e
cancellazione della personalità. Non si può non rimanere a disagio
davanti a un paesaggio urbano di Sironi: troppe le inevitabili
analogie nei colori, nelle strutture, nei fumi con altri luoghi di
dolore come i campi di concentramento, luoghi dove – nel crudele,
cinico e mostruosamente beffardo linguaggio dell'organizzazione
nazista - il lavoro rendeva liberi.</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
</div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEidYVyU9FGEO2BlrXLbQXO5FwiT8AVdM5z-UP3aXvRrdANou1boLQAj_AMcBOhW1yZd_lfpgqEtWy6CAkQ9oCW_bBbQFWBqJOp0ZiCDpEN79OiyXV8XaAUzWGWKJi7QNFDgkiugzEWP4uo/s1600/arbeit-macht-frei%5B1%5D.jpg" imageanchor="1" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" height="240" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEidYVyU9FGEO2BlrXLbQXO5FwiT8AVdM5z-UP3aXvRrdANou1boLQAj_AMcBOhW1yZd_lfpgqEtWy6CAkQ9oCW_bBbQFWBqJOp0ZiCDpEN79OiyXV8XaAUzWGWKJi7QNFDgkiugzEWP4uo/s320/arbeit-macht-frei%5B1%5D.jpg" width="320" /></a><span style="font-family: Arial, sans-serif;">Non è
un azzardato paradosso recuperare la memoria di quei mattatoi e
segnalarli come pericolo sempre presente nelle infinite possibilità
della storia umana: alla spietata efficienza ed efficacia di
Auschwitz si è giunti in seguito a un processo di spersonalizzazione
dell'umanità iniziato con l'applicazione rigida del fordismo alla
produzione che ha portato il lavoro a essere solo performance e non
sapere, abilità, intelligenza, astuzia, sapienza materiale. Valore,
appunto. Non è un caso che Ford stesso fosse prima della guerra un
fanatico nazista antisemita e che Thomas J. Watson, il CEO di IBM,
abbia un rapporto controverso con Adolf Hitler.</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEggZIUaFKTkJMfAjm08-4yhp9dlAxCvQWtA_3evhQ9Y5lHv11K3vM2OeWfpUz8ZKnfreFej2zwGQgZS4QRQv9kqQ9GttDO5MyEGSa0b3E_6hw7pRfiNskGOyJLFr35I1M_oRrhdIU03HdM/s1600/Zyklon+B.jpg" imageanchor="1" style="clear: right; float: right; margin-bottom: 1em; margin-left: 1em;"><img border="0" height="240" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEggZIUaFKTkJMfAjm08-4yhp9dlAxCvQWtA_3evhQ9Y5lHv11K3vM2OeWfpUz8ZKnfreFej2zwGQgZS4QRQv9kqQ9GttDO5MyEGSa0b3E_6hw7pRfiNskGOyJLFr35I1M_oRrhdIU03HdM/s320/Zyklon+B.jpg" width="320" /></a><span style="color: #000033;"><span style="font-family: Arial, sans-serif;">La
cancellazione di milioni di persone è avvenuta grazie ad una precisa
pianificazione che non ha trascurato un’attenta valutazione dei
costi della soluzione finale. L’utilizzo del gas Zyklon B,
curiosamente confezionato in forma di cristalli in lattine non tanto
dissimili da quelle della zuppa Campbell, era risultato, nei calcoli
degli zelanti funzionari nazisti, l’opzione più economica tra
quelle considerate: efficienza, efficacia, minimizzazione dei costi,
riciclo accuratamente differenziato dell’oro e dei metalli degli
oggetti delle vittime, termovalorizzazione dei corpi spogliati anche
della dignità. Sei milioni di cadaveri, tutti uguali: un processo di
produzione di morte di massa perfettamente razionale.</span></span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br />
</div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEi6SMSQi2Igo-5QZAPYII8U5DUGo2eLxTilVTOIChzTa0ehqEPTSGjJ8Mbnbo6CBwZjR9uatEypOXzgHnyXGnJm0__OX298lo9tVwY_BUJhXVykEFhFMwDXCmvZln-tydEahPKUDRZ-16Y/s1600/concetto_spaziale_new_york_10%5B1%5D.jpg" imageanchor="1" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" height="285" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEi6SMSQi2Igo-5QZAPYII8U5DUGo2eLxTilVTOIChzTa0ehqEPTSGjJ8Mbnbo6CBwZjR9uatEypOXzgHnyXGnJm0__OX298lo9tVwY_BUJhXVykEFhFMwDXCmvZln-tydEahPKUDRZ-16Y/s320/concetto_spaziale_new_york_10%5B1%5D.jpg" width="320" /></a><span style="font-family: Arial, sans-serif;">Se si
persevera nella metafora pittorica - naturalmente senza alcuna
pretesa di critica d'arte, ma solo con l'occhio di chi dà libero
sfogo alle sue sensazioni - occorre allora, proprio come nelle opere
di Lucio Fontana, strappare la tela dell'orrore e cercare di far
emergere l'Uomo. Tutto quello che poteva essere detto e rappresentato
è stato fatto, non rimane che procedere con una lama affilata a
vedere che cosa nasconde la tela, se c'è ancora l'Uomo che vive
sotto la tecnologia, le macchine, i rapporti formali. Un taglio in
una tela come uno squarcio in un sistema malato, una vagina simbolica
da cui poter liberare l'Uomo, farlo rinascere, ridargli la luce.</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br />
</div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhFdb32ZumTxOkoSl05okKniVtNTcp6ZVk-14046GjS1tFgVUiypGi8uzy-lVjR7ZOfWbgbiWmHhV800yA98vaIBC_Yt7G9C-kaZb2jeXZZIg76q_F9WZjLQCIFtLxqzdzLC0RsUrt10io/s1600/burri-rosso-plastica%5B1%5D.jpg" imageanchor="1" style="clear: right; float: right; margin-bottom: 1em; margin-left: 1em;"><img border="0" height="320" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhFdb32ZumTxOkoSl05okKniVtNTcp6ZVk-14046GjS1tFgVUiypGi8uzy-lVjR7ZOfWbgbiWmHhV800yA98vaIBC_Yt7G9C-kaZb2jeXZZIg76q_F9WZjLQCIFtLxqzdzLC0RsUrt10io/s320/burri-rosso-plastica%5B1%5D.jpg" width="286" /></a><span style="font-family: Arial, sans-serif;">Tuttavia,
se, come in Fontana, il taglio non rivela nulla, solo ombra scura, se
l'Uomo non si fa largo tra i lembi della tela, non rimane che
bruciarla, darle fuoco con una fiamma ossidrica come fa Burri,
distruggere il contesto che non consente più di vivere come persone,
che impedisce di dare prova del proprio valore, di definire la
propria identità e sperare che solo dalla catarsi, dall'olocausto
del sistema possa nascere qualcosa di nuovo, proprio come un
incendio, distruggendo i boschi, li rinnova e li rende perenni</span><br />
</div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Arial, sans-serif;">Un modo
forse per superare il fosco presagio dell’apocalisse finale ancora
sopravvive, e consiste nel definire e identificare con chiarezza le
strutture economiche, politiche e sociali del nostro presente e
cominciare a smontarle pezzo dopo pezzo, come in un lego, per poi
ricostruirle violando ogni regola e convenzione. Tirar fuori la
creatività necessaria per non rimanere prigionieri della gabbia che
ci siamo costruiti, sapendo ridere del tempo che abbiamo sprecato a
occuparci di concetti sbilenchi come efficienza, efficacia, presunta
meritocrazia, selezione, programmazione e controllo. Ridere del
fallimento a cui hanno portato la società e l'economia e sfidare
l’assurdo come nei film di Buñuel, cominciando invece a
contaminare i pensieri superando le frontiere esistenti fra le
discipline, le arti e le conoscenze. E’ imperativo andare oltre
quella separazione artificiosa che è stata tracciata tra umanesimo e
scienza. abbattere la visione finalistica della tecnologia
riconducendola invece a essere mero strumento tecnico, opponendosi
con forza alle pretese aberranti di una visione che concepisce un
logos immanente nella tèchne, una “ragione tecnologica” che non
ha nulla di umano e molto di diabolico, di separato letteralmente
dall’Uomo. Non è un caso che la formazione tecnica, per lunga
tradizione, sia sempre stata il fiore all’occhiello dei regimi
totalitari, il nutrimento ideologico dell’</span><span style="font-family: Arial, sans-serif;"><i>homo
sovieticus </i></span><span style="font-family: Arial, sans-serif;">e
di quello</span><span style="font-family: Arial, sans-serif;"><i> sinensis
</i></span><span style="font-family: Arial, sans-serif;">prima
e durante l'attuale abbuffata capitalistica</span><span style="font-family: Arial, sans-serif;">.
</span>
</div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Arial, sans-serif;"><br /></span></div>
<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEibRSc8qYdKVCeqkthL35Zl2ND7tZfVKymRtcZ5S6RwsRXteTJDIWGbn5g5YWcbvXtJ5B_QjxUrm35A17O1Aci-WdhQe2wsK0nCV8X-tDnD7_5ooBKFachu02LGInM1RDQFacMhe1FslBw/s1600/orologideformi%5B1%5D.png" imageanchor="1" style="clear: right; float: right; margin-bottom: 1em; margin-left: 1em;"><img border="0" height="228" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEibRSc8qYdKVCeqkthL35Zl2ND7tZfVKymRtcZ5S6RwsRXteTJDIWGbn5g5YWcbvXtJ5B_QjxUrm35A17O1Aci-WdhQe2wsK0nCV8X-tDnD7_5ooBKFachu02LGInM1RDQFacMhe1FslBw/s320/orologideformi%5B1%5D.png" width="320" /></a></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Arial, sans-serif;">Destrutturare
per ricostruire. Perché allora non cominciare - proprio come in un
dipinto surrealista - deformando il tempo, sciogliendolo, liberandolo
dallo strumento di misura e dall'idea di scadenza? Ricominciare
pertanto a vivere il tempo senza volerlo dominare, fermare o
accelerare.</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Arial, sans-serif;">Fermarci
a osservare la natura, percepire i ritmi dei suoi colori, delle sue
forme e dei suoi odori ci può essere sorprendentemente di grande
aiuto per recuperare innanzitutto quella nostra dimensione umana che
noi per primi abbiamo lasciato seppellire dalle macerie del nostro
lavoro.</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br />
</div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
Luca B. Fornarolihttp://www.blogger.com/profile/03748694256234831605noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-1001959283733705090.post-86769980754924249762013-07-06T16:21:00.000+02:002013-07-06T16:21:54.071+02:00L'iPod di Andy Warhol<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Arial, sans-serif;">Un'immagine
di uno dei tanti barattoli di zuppa Campbell, resa icona da Andy
Warhol, mi ha suggerito un immediato parallelo con uno degli oggetti
di culto degli ultimi anni, l'iPod.</span></div>
<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhOliMz_CLfTK9_8acR4Q_lUJY2ps8knEH1EqErgPLANlj0i55fsE8qinU8Rs-2qAObHDhyIWAgn0kY_M5Aj2oyu6dK2G-SCir-ldkIT0gzBaAVtgBaMk-mTRIXTcx7OBZ7KfO8J1fL6r8/s1600/Zuppa+Campbell.jpg" imageanchor="1" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" height="320" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhOliMz_CLfTK9_8acR4Q_lUJY2ps8knEH1EqErgPLANlj0i55fsE8qinU8Rs-2qAObHDhyIWAgn0kY_M5Aj2oyu6dK2G-SCir-ldkIT0gzBaAVtgBaMk-mTRIXTcx7OBZ7KfO8J1fL6r8/s320/Zuppa+Campbell.jpg" width="217" /></a></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Arial, sans-serif;">Non c'è
bisogno di essere esperti d'arte per vedere come Warhol abbia voluto
trasfigurare, nelle sue riproduzioni della zuppa in lattina, un
oggetto di largo consumo totalmente standardizzato. La zuppa
confezionata era il simbolo di un'economia e di una società in
crescita, che non aveva tempo da perdere a cucinare, che doveva avere
la certezza di trovare in qualsiasi lattina sempre lo stesso
prodotto, con la stessa qualità, la stessa consistenza, l'odore, il
colore e il sapore di sempre. Nessun imprevisto avrebbe potuto
sorprendere il consumatore intento con l'apriscatole a sollevare il
lembo di tagliente metallo che richiudeva il familiare denso
alimento. </span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Arial, sans-serif; text-align: center;">La zuppa
confezionata era il simbolo del nuovo focolare domestico, non più
custodito dalle amorevoli cure di una donna di casa, ma i cui
perimetri erano definiti da un vibrante refrigeratore, da una
rumorosa lavapiatti e da un mobile di pregiato legno scuro a
protezione di uno schermo fluorescente. Lente attraverso la quale le
immagini del mondo avevano accesso all'immaginazione delle famiglie
americane, stimolandola, modificandola e guidandola verso l'acquisto
di tanti altri baluardi del progresso. La zuppa Campbell si era
trasformata nell'americano medio.</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Arial, sans-serif;">Warhol
la ritrae più volte, così come avrebbe fatto con molti personaggi
divenuti miti popolari; la riproduce in serie proprio come in serie
viene prodotta nella realtà; ne rappresenta tutta la gamma: quella
al pomodoro, quella al pollo, ai funghi, e smetterà solo quando avrà
raffigurato tutte le versioni presenti sugli scaffali degli store.
Nessuna variante della zuppa sarebbe sfuggita alla trasfigurazione di
Warhol: far diventare arte, oggetto di culto, un cibo popolare e
cheap. </span>
</div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Arial, sans-serif;">Warhol
tuttavia è così acuto, ha così ben capito il suo tempo, che non si
limita a rappresentare il prodotto, ma l'intero processo che porta
alla sua produzione, replicando le immagini infinite volte, cambiando
i colori quasi a voler fissare sulla tela o sulla carta il risultato
del processo di produzione di massa. Grazie a Warhol la zuppa
Campbell diventa icona, immagine simbolo, diventa arte contemporanea.</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
</div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Arial, sans-serif;">Trovo
che questa evoluzione da prodotto di massa a oggetto estetico abbia
la sua corrispondenza antisimmetrica nell'iPod. In questo caso il
cammino è inverso: si parte da un'idea di bellezza, di forma, di
design innovativo, di piacere estetico visivo e tattile e lo si
materializza in un manufatto di alluminio, plastica, vetro e silicio
che diventa il supporto dell'idea di bellezza, acquisisce la funzione
che la tela e la carta hanno in Warhol. </span>
</div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjMYAFxQ1ZmH52gqkeCTcN9z13WxBuIR9PQwoaQr2tcy_OFLN19QxL3nfmQizMOGGBVvABSYcXkDal0k3ExTzzSIu20nIb9WMumuFhAyYZAtQm6n_04pnp2RcW1cYV4XGSiLq29zVmClbs/s1600/ipodo.jpg" imageanchor="1" style="clear: right; float: right; margin-bottom: 1em; margin-left: 1em;"><img border="0" height="190" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjMYAFxQ1ZmH52gqkeCTcN9z13WxBuIR9PQwoaQr2tcy_OFLN19QxL3nfmQizMOGGBVvABSYcXkDal0k3ExTzzSIu20nIb9WMumuFhAyYZAtQm6n_04pnp2RcW1cYV4XGSiLq29zVmClbs/s320/ipodo.jpg" width="320" /></a><span style="font-family: Arial, sans-serif;">Il
prodotto realizzato in serie, in decine di colori e diversi formati,
diventa veicolo esso stesso di un ideale estetico e del piacere. Non
è più un prodotto di massa a diventare bello, ma è il bello che va
a dimorare su un prodotto di massa rendendolo simbolo di un modo di
vivere: il dinamismo, il gusto raffinato, la modernità, ma anche
l'isolamento dagli altri attraverso l'ascolto in cuffia e tuttavia il
riconoscimento di coloro che condividono le stesse scelte, di coloro
che optano per un “non luogo” privato, fatto di musica, e si
sottraggono ai non luoghi del supermercato, degli aeroporti,
dell'ufficio, della via di casa. Li accompagna la sensazione di
appartenenza a una nuova classe, tecnologica, elitaria, “creativa”..
</span>
</div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Arial, sans-serif;">E’
nella natura delle cose e delle infinite metamorfosi dell’arte e
dei suoi significati che la prima serie del lettore musicale della
Apple sia stata esposta al MOMA di New York poco lontano proprio
dalla Warhol’s Collection.</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
</div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Arial, sans-serif;">Se
vivesse ancora Warhol non ritrarrebbe l'iPod su una tela come fece
con la zuppa Campbell e con decine di altre icone: l'iPod non ha
bisogno di diventare arte, è già materializzazione estetica. Warhol
invece dipingerebbe gli iPod, proprio come fossero essi stessi la
tela, li vestirebbe di tante piccole zuppe Campbell miniaturizzate o,
meno anacronisticamente, di tanti altri piccoli iPod, in una
meta-lettura estetica che prosegua all'infinito, mentre l'arte,
facendosi materia fisica, si riprodurrebbe, rincorrerebbe se stessa e
rischierebbe di snaturarsi, di diventare maniera o, addirittura,
prodotto di massa, finendo così per essere non dissimile da un latta
di zuppa conservata.</span></div>
Luca B. Fornarolihttp://www.blogger.com/profile/03748694256234831605noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-1001959283733705090.post-85493601312602988182013-06-28T14:48:00.001+02:002013-06-28T14:50:51.330+02:00Tasse, diritti e libertàUn livello di tassazione insostenibile limita la libertà economica a tal punto da pregiudicare il pieno godimento dei diritti civili. Già lo diceva von Mises e la mai troppo ricordata Scuola Austriaca che seguiva quella nobile tradizione per la quale non bastava essere economisti per capire di economia, occorreva anche essere filosofi politici, filosofi della scienza, psicologi, politologi, logici e giuristi. Per avere quella visione più profonda e più larga che un'unica specializzazione non può dare: come non capirono invece mai a Chicago.<br />
<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEijzX-bVL6iNpQztU0TDhi56nAJeAVbSJtsc6gIs4p4BEMVtxwIosZfGvZjbmGl4X0tfLX48pPdHJUqvfqKnmOAtp08_kobSkoTEUFCwnqRbmFV6uyYCeXcVTwUwDfzKG0lzH0eAhLztnA/s262/Ludwig+von+Mises.jpg" imageanchor="1" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" height="200" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEijzX-bVL6iNpQztU0TDhi56nAJeAVbSJtsc6gIs4p4BEMVtxwIosZfGvZjbmGl4X0tfLX48pPdHJUqvfqKnmOAtp08_kobSkoTEUFCwnqRbmFV6uyYCeXcVTwUwDfzKG0lzH0eAhLztnA/s200/Ludwig+von+Mises.jpg" width="146" /></a>Un livello di tassazione insostenibile diventa eminentemente un problema politico: il potere esondante della burocrazia amministrativa che, senza alcun vincolo di responsabilità, fagocita risorse e risparmi privati spiazzandone (il cosiddetto crowding out) gli investimenti, esce dall'ambito di una democrazia liberale.<br />
Chi si occupa di rispetto dei diritti civili, pertanto, non può non occuparsi dei livelli di tassazione: essi costituiscono infatti il mezzo più tradizionale e storicamente più applicato per conculcarli. La schiavitù si realizza attraverso la limitazione dell'autonomia economica grazie al costante intervento dello Stato: in questo senso il titolo che von Hayek diede al suo libro più famoso - The Road to Serfdom - non fu un'iperbole. L'uomo diventa servo quando le risorse per badare a se stesso e alla sua famiglia non bastano più perché assorbite dal Leviatano pubblico, quando un potere centrale decide per lui condizionando le sue scelte private.<br />
Un livello di tassazione e di spesa scellerati non trasformano - come erroneamente, ma efficacemente, diceva uno sciagurato, ma bravo giornalista economico - lo stato in ladro, bensì in tiranno: alimentano una burocrazia irresponsabile a danno dei cittadini più onesti.<br />
<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjVHTWSGNXzmo4_RM54tjMokxM2IIZlajG93Y4C0j3lTtaOOrkmhCdQsBjoUVaFG34FHMR5YJSeZSvHQVq0_Ez9S6nlauppiWRhtk1mbQJaHcI8tWp2cz9-LkCjlgscBRc58lEgiVYnrGc/s475/road_to_serfdom.jpg" imageanchor="1" style="clear: right; float: right; margin-bottom: 1em; margin-left: 1em;"><img border="0" height="200" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjVHTWSGNXzmo4_RM54tjMokxM2IIZlajG93Y4C0j3lTtaOOrkmhCdQsBjoUVaFG34FHMR5YJSeZSvHQVq0_Ez9S6nlauppiWRhtk1mbQJaHcI8tWp2cz9-LkCjlgscBRc58lEgiVYnrGc/s200/road_to_serfdom.jpg" width="130" /></a>Attraverso l'abuso della leva fiscale viene così realizzata l'uguaglianza dell'impotenza di tutti i cittadini onesti davanti alla Pubblica Amministrazione. Per questo l'evasione fiscale, a un certo punto, può essere un moto di ribellione e di affermazione della libertà e della dignità dei cittadini. Non quella dei furbi e dei prepotenti fatti della stessa pasta degli alti burocrati pubblici, ma quella dei cittadini che vivono collettivamente come profonda ingiustizia l'iniquità di un fisco che colpisce anche le risorse che non si posseggono (l'Irap è un caso scandaloso di violenza fiscale).<br />
Quando viene detto che il problema è l'economia, la crisi, lo scenario internazionale, si fornisce una rappresentazione della realtà solo parzialmente veritiera per nascondere che il problema è sempre innanzitutto politico e riguarda i rapporti tra cittadino e stato.<br />
La necessità economica rappresenta solo l'ambito più convincente, il contesto più persuasivo, per giustificare con elementi esogeni (che esistono, ma che non sono mai la causa ultima) le politiche per rendere il cittadino titolare di diritti sempre più deboli e oneri più pesanti. Per limitare la sfera di azione economica e politica dell'individuo attraverso la tecnocrazia pubblica.<br />
In gioco c'è la sottrazione del potere: per il cittadino questo potere è un verbo che, quando diventa sostantivo, si chiama libertà.Luca B. Fornarolihttp://www.blogger.com/profile/03748694256234831605noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-1001959283733705090.post-91160332348321992302013-06-24T00:57:00.000+02:002013-06-24T00:58:25.223+02:00Il neoliberismo selvaggio, brutto e cattivo del FMI<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjTvnIZAKD9dIktoBtQ4U8e2g0N7YNOeO2IInk-sGrnazXbi8uiHckAmYAN2r6U90EtIULEa16YUQ6_WU_z7oXH5-AwYCE7Re0RRdrso0ANAEw_nyanvDAlTa7OIkJACSMKsBglwGDkYCE/s1600/john-williamson.jpg" imageanchor="1" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" height="200" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjTvnIZAKD9dIktoBtQ4U8e2g0N7YNOeO2IInk-sGrnazXbi8uiHckAmYAN2r6U90EtIULEa16YUQ6_WU_z7oXH5-AwYCE7Re0RRdrso0ANAEw_nyanvDAlTa7OIkJACSMKsBglwGDkYCE/s200/john-williamson.jpg" width="146" /></a>Per coloro che, avvendolati, spacciano bislacche affermazioni sulle mostruose e affamatrici strategie liberiste del Fondo Monetario Internazionale, ecco quali sono i terribili 10 punti del Washington Consensus così come vennero formulati dall'economista britannico John Williamson (vd. foto) che li ha ribaditi nel 2000.<br />
1) disciplina fiscale<br />
2) indirizzare le priorità di spesa pubblica verso settori che offrano sia alti ritorni economici sia la possibilità di migliorare la distribuzione del reddito, come l'assistenza sanitaria primaria, l'educazione primaria e le infrastrutture<br />
3) riforma fiscale<br />
<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgVYIgfic4SjrR_Ifsklju16ZWCpgb7MoAXONiOG7aDudEdc-AS5kRz-RQiBYsWhT7ltdgiaobts4t_Q5yVvRUNIwePIjNHAzNUy5cvZWP6S8COTRpxkNcVaS_-f9Mr2jtbBejpHLE40MY/s1600/imf.gif" imageanchor="1" style="clear: right; float: right; margin-bottom: 1em; margin-left: 1em;"><img border="0" height="197" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgVYIgfic4SjrR_Ifsklju16ZWCpgb7MoAXONiOG7aDudEdc-AS5kRz-RQiBYsWhT7ltdgiaobts4t_Q5yVvRUNIwePIjNHAzNUy5cvZWP6S8COTRpxkNcVaS_-f9Mr2jtbBejpHLE40MY/s200/imf.gif" width="200" /></a>4) liberalizzazione dei tassi di interesse<br />
5) tasso di cambio competitivo<br />
6) liberalizzazione del commercio<br />
7) liberalizzazione dei flussi in entrata degli investimenti diretti dall'estero<br />
8) privatizzazione<br />
9) deregulation<br />
10) garanzia dei diritti di proprietà.<br />
<br />
Quindi quando vi raccontano la favoletta che le istituzioni internazionali sono cattive perché vogliono il taglio del welfare potete rispondere che sono i governi locali che lo fanno per mantenere i propri privilegi.<br />
Con buona pace di Vendola e di tutti i no global, gli antagonisti, i cooperanti, i sinistri, gli ultrasinistri, i portakefiah, i malrasati, i preti belli, i preti "brutti, ma buoni dentro", i santi dei santi di Emergency, i ginistrada, gli agnoletti e i "vaffanculo e amen".Luca B. Fornarolihttp://www.blogger.com/profile/03748694256234831605noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-1001959283733705090.post-569335054800374092013-06-24T00:40:00.000+02:002013-06-24T00:40:46.865+02:00EpilogoLa strada vive di negozi, voci,<br />
sorrisi e pensieri da crescere.<br />
<br />
Subitanea<br />
dal sole<br />
una goccia<br />
densa di mercurio,<br />
metallico globo agghiacciante,<br />
fende le rarefazioni dell'aria,<br />
diretta verticale<br />
lacera l'atmosfera che stagna<br />
il mondo di sotto,<br />
frange l'asfalto<br />
in città degli affari.<br />
Breve, un fiotto di suono,<br />
rumore sordo,<br />
alza lingue di fuoco,<br />
penetra le viscere del mondo,<br />
l'arancio mortale di fiamma,<br />
acre leva un fumo d'olio.<br />
Di tutti gli umani<br />
restano umide macchie,<br />
carboni già tiepidi.<br />
Superstiti<br />
senza ricordi,<br />
i sassi.<br />
Soli.<br />
<div>
<br /></div>
Luca B. Fornarolihttp://www.blogger.com/profile/03748694256234831605noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-1001959283733705090.post-32664014388060299262013-06-13T15:48:00.002+02:002013-06-13T15:59:02.108+02:00Tempo di carta<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEiBQo8WQWzy4qgMTP6jNh03ZCgnLSVcZSCd9v7hJMatiQOfdFPeOiMLvxV8BMTDn3_gj4Q8C-tsqLMDG4VmN83wllxKenwQPHCBqbtaXDEokNdc_SbArl0huxVQ0b74WWz-S62oyOHl1uo/s1600/messy-desk-illustration.jpg" imageanchor="1" style="clear: right; float: right; margin-bottom: 1em; margin-left: 1em;"><img border="0" height="222" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEiBQo8WQWzy4qgMTP6jNh03ZCgnLSVcZSCd9v7hJMatiQOfdFPeOiMLvxV8BMTDn3_gj4Q8C-tsqLMDG4VmN83wllxKenwQPHCBqbtaXDEokNdc_SbArl0huxVQ0b74WWz-S62oyOHl1uo/s320/messy-desk-illustration.jpg" width="320" /></a><span style="background-color: white; color: #37404e; font-family: 'lucida grande', tahoma, verdana, arial, sans-serif; font-size: 13px; line-height: 18px;">Vivo abitualmente tra stratificazioni pluriennali di scartoffie, con relativa differente stagionatura della polvere. Se mi serve qualcosa, faccio 12 starnuti e trovo tutto: le cose più antiche negli strati più vicini al tavolo, le più recenti in quelli alla cima delle varie torri. Di solito però non mi serve mai nulla e le mie architetture, come palazzi yemeniti di carta, continuano a torreggiare e affin</span><span class="text_exposed_show" style="background-color: white; color: #37404e; display: inline; font-family: 'lucida grande', tahoma, verdana, arial, sans-serif; font-size: 13px; line-height: 18px;">are polvere, forfora, peli di varie consistenze e qualche capello.<br />Ieri ho iniziato l'opera di smantellamento e bonifica dell'area, un'operazione che mi costa moltissimo perché io sono uno di quelli che non butta via niente perché "non si sa mai" e perché non so distinguere le cose importanti - o supposte tali - da quelle che non lo sono. Ma ieri mi sono messo d'impegno e, con l'anima ferita come una tela di Fontana, ho riempito un cesto di riviste, articoli, stampati, slide, appunti, dépliant: mesi, anni, di lavoro, di progetti e di attese mie e altrui. Migliaia di acari veterani depositatisi su decine di decisioni e buoni propositi. Spesso a chiedermi se me ne fosse mai importato qualcosa di questi lavori e non fossero stati solo un modo poco soddisfacente per procurarmi la pagnotta. La risposta me la dava il corpo: il fastidio fisico, il respiro contratto, l'apnea dello stomaco, nel leggere brandelli di carta prima di eliminarli: corsi di formazione inutili, consulenze mal pagate, o mai pagate, su come usare un po' di buonsenso di pronta beva; parole, paratassi, ipotassi, senza più alcun contenuto. Ho trovato persino una poesia scritta su un foglio di macchie ingiallite, era appena il '96, e non mi ricordo già più nulla, mi è totalmente estranea, come se il suo ignoto autore si fosse impossessato della mia carta e della mia penna in uno dei pochi giorni in cui non ero alla scrivania, lì, a presidiare il tempo affinché non scorra. Una poesia brutta, ostica, ermetica, ma dal titolo rivelatore per chi sta liberando la sua sfera di sopravvivenza dalle concrezioni e le appannature del passato: "Epilogo".</span><br />
<span class="text_exposed_show" style="background-color: white; color: #37404e; display: inline; font-family: 'lucida grande', tahoma, verdana, arial, sans-serif; font-size: 13px; line-height: 18px;"><br /></span>
<span class="text_exposed_show" style="background-color: white; color: #37404e; display: inline; font-family: 'lucida grande', tahoma, verdana, arial, sans-serif; font-size: 13px; line-height: 18px;"><br /></span>Luca B. Fornarolihttp://www.blogger.com/profile/03748694256234831605noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-1001959283733705090.post-78307797694182768532012-01-24T02:54:00.000+01:002012-01-24T13:56:04.072+01:00La leadership nell'arte<br />
<div class="MsoNormal">
<span style="font-family: Arial;">Da mesi sto cercando di
capire le possibili relazioni tra l’arte in senso lato e l’organizzazione
aziendale. Con il tempo, dovendo individuare un fil rouge di coerenza tra i
miei vari interessi che li potesse spingere un po’ oltre la superficie del
conoscere e li orientasse verso la costruzione ideale di una statua interiore
ancora molto abbozzata e per lo più nascosta dalla materia, ho tracciato in modo più netto i confini dell’indagine, limitandoli a quanto l’arte possa
dare e dire alla leadership.<o:p></o:p></span></div>
<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEi-vyf_lT0PO27z1W0HcGGxoBISnSIzLIvbCWKQSL0BeYy1HmdBJ1lXtteYZAQNHMmGPpnC07quscTDvdL0TeLNKdx9N9MzRNhPy1M1iNSHP8kcpVDX5T6YUXLuI7xbii2JW79v5wf0xCw/s1600/Pipa+Magritte.jpg" imageanchor="1" style="clear: right; float: right; margin-bottom: 1em; margin-left: 1em;"><img border="0" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEi-vyf_lT0PO27z1W0HcGGxoBISnSIzLIvbCWKQSL0BeYy1HmdBJ1lXtteYZAQNHMmGPpnC07quscTDvdL0TeLNKdx9N9MzRNhPy1M1iNSHP8kcpVDX5T6YUXLuI7xbii2JW79v5wf0xCw/s1600/Pipa+Magritte.jpg" /></a></div>
<div class="MsoNormal">
<span style="font-family: Arial;">Arte e leadership rimangono
due termini vaghi, nonostante i miei novelli sforzi, e fastidiosamente abusati,
talvolta in ircocervi lessicali che possono portare a pensare a un’immaginaria Arte
della Leadership, rigorosamente in maiuscolo per chi ritiene d’esserne depositario. Meglio sarebbe parlare dei rapporti tra l’artista e il potere, ma non
da intendersi come sudditanza dell’uno verso l’altro: non si tratta di
analizzare il modo in cui l’artista magnifica il potente, ma di capire quale
sia il vero potere dell’artista.<o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal">
<br /></div>
<div class="MsoNormal">
<span style="font-family: Arial;">Chi crea un’opera d’arte
deve essere innanzitutto libero di esprimersi, deve poter tirar fuori da sé il
proprio modo di leggere la realtà esterna o interna, deve poter violare canoni
espressivi, violentare il linguaggio, ricostruire il mondo secondo percezioni
ed elaborazioni personali. Tuttavia ha bisogno di limiti, di ostacoli, di
linguaggi comunemente condivisi da oltraggiare: non può spezzare le inferriate
se in qualche modo non si sente messo in gabbia. E’ l’altezza dell’ostacolo che
determina lo slancio per il salto. La libertà esige briglie da strappare, sennò
perde tensione, abdica a qualsiasi funzione, si ritira in una meditazione che
non è ricerca di un centro, ma fuga, timore, autosegregazione.<o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal">
<span style="font-family: Arial;">L’artista deve vivere continuamente
il paradosso della libertà minacciata dai vincoli. Il potere dell'artista non è espressione di un ruolo, non è dato dalla <i>grazia dello stato</i>, non è una leadership che derivi da un organigramma o da un ruolo istituzionale: non è potere <i>potenziale</i>, ma potere <i>potente e</i> <i>potuto</i>. Si mostra attraverso la realizzazione artistica, è quindi potere in cui sostantivo e verbo si manifestano simultaneamente. <o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal">
<br /></div>
<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhCFYf0fNR95appQO-qaSPgsaebpB5cOZre5Sz4k7-vNTLNoguuny-Sz7Dr9BrFg4FkKBnpIBHje8f449Zzwp-1PhxcWgz34rds6ixsFZWZhnAiZFEPtmH9Ds6hmZ4CoeCrgM9bBnlNtR4/s1600/Uovo+colomba+Magritte.jpg" imageanchor="1" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhCFYf0fNR95appQO-qaSPgsaebpB5cOZre5Sz4k7-vNTLNoguuny-Sz7Dr9BrFg4FkKBnpIBHje8f449Zzwp-1PhxcWgz34rds6ixsFZWZhnAiZFEPtmH9Ds6hmZ4CoeCrgM9bBnlNtR4/s1600/Uovo+colomba+Magritte.jpg" /></a></div>
<div class="MsoNormal">
<span style="font-family: Arial;">Come egli esercita pertanto
la sua libertà, in quali poteri si traduce, in che cosa diventa leader che
guida l’orecchio o l’occhio degli altri? Il potere più visibile è quello di
reinterpretazione della realtà attraverso le parole, le forme e i suoni. La tradizione
cinese dice che il vero potere celeste è quello di dare il nome alle cose:
l’atto di denominare e identificare crea la realtà, la costruisce secondo
regole coerenti. <o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal">
<span style="font-family: Arial;">Nella tradizione occidentale,
“In principio era il logos”, dice Giovanni, la parola creatrice, il pensiero,
la logica divina che precede il mondo fisico. L’artista decostruisce e
ricostruisce la realtà, la manipola, la modifica, ne enfatizza alcuni aspetti,
celandone altri. L’artista crea visioni del mondo, le comunica, persuade,
scandalizza. <i>Skàndalon</i> in greco è
l’ostacolo, la trappola, l’inciampo e ha la stessa radice del sanscrito <i>c’handa</i>, che invece significa nascosto,
coperto. L’etimologia sembra suggerirci che l'artista scandalizzi offrendo
trappole al nostro modo di pensare, riveli ostacoli nascosti, realtà celate.<o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal">
<br /></div>
<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEj7LbjKEiX6d_aH7BwVYnl-InA3PCMNJ68ZU3h442VipoTyGiW902iZdQpSQ8yqXB0kBZxtmKTXqFNz2Gd61Nisy_oMJMV6Qq1UzTLtv96oLlSt6sEx_0nOqRNRhWlfR6zMPHg8iKSMgME/s1600/S.Dal%25C3%25AC-Persistenza-della-memoria%255B1%255D.jpg" imageanchor="1" style="clear: right; float: right; margin-bottom: 1em; margin-left: 1em;"><img border="0" height="227" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEj7LbjKEiX6d_aH7BwVYnl-InA3PCMNJ68ZU3h442VipoTyGiW902iZdQpSQ8yqXB0kBZxtmKTXqFNz2Gd61Nisy_oMJMV6Qq1UzTLtv96oLlSt6sEx_0nOqRNRhWlfR6zMPHg8iKSMgME/s320/S.Dal%25C3%25AC-Persistenza-della-memoria%255B1%255D.jpg" width="320" /></a></div>
<div class="MsoNormal">
<span style="font-family: Arial;">Nello scivolare – anche se
non senza azzardi - lungo l’origine delle parole, ci rendiamo conto di un altro
potere, più sottile, più nascosto e profondo: il potere metafisico dell’arte
che porta i sensi a connettersi con una realtà non materiale, forse spirituale,
con leggi fuori dal tempo: l’artista guida – leads to – verso la bellezza; è un
medium tra la bellezza intesa quasi come concetto astratto, platonico, e la fisicità
dello spettatore. Ha il potere della messa in relazione con i concetti puri, il
superamento del velo di <i>maya - </i>l’apparenza - verso la <i>sub stantia</i>,
verso la</span><span style="font-family: Arial;"> verità: la realtà non più nascosta, ma disvelata – </span><i style="font-family: Arial;">alètheia</i><span style="font-family: Arial;"> – dei greci.</span></div>
<div class="MsoNormal">
<span style="font-family: Arial;">L’artista, in questa
concezione che potremmo chiamare spiritualista, conduce verso la verità, ne è
interprete e guida. Un potere immenso, straordinario e pericoloso: un potere
che rimette in contatto con l’armonia mundi, con le energie della terra e del
cielo, secondo la sapienza orientale; rimette in sintonia con i tempi, i
colori, il divenire della natura, rende consapevoli di essere parte di essa e
di contenerla tutta. E’ una consapevolezza ambientale in senso universale.<o:p></o:p></span><br />
<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgwiG0igYi8gj8Wv9hiI3zHGOioTnz7uwm4gNpgjXvu0NPSI-gc1c1IA32ZcxNC2gaS3ghaoKULs-MYAFjrm9OxVad-D47NsT1EIwQ-52MPi5O1GxuPjMtDA5EKNZWlR703Hu2G6FuuD1I/s1600/palazzo-vecchio-palazzo-della-signoria-florence-ir1675%255B1%255D.jpg" imageanchor="1" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" height="213" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgwiG0igYi8gj8Wv9hiI3zHGOioTnz7uwm4gNpgjXvu0NPSI-gc1c1IA32ZcxNC2gaS3ghaoKULs-MYAFjrm9OxVad-D47NsT1EIwQ-52MPi5O1GxuPjMtDA5EKNZWlR703Hu2G6FuuD1I/s320/palazzo-vecchio-palazzo-della-signoria-florence-ir1675%255B1%255D.jpg" width="320" /></a></div>
<span style="font-family: Arial;">In una visione più laica, la natura della bellezza disvelata dal potere dell'artista, sembra consistere non già in un concetto statico, ma in una trama di regole che organizzano le proporzioni, definiscono la prospettiva, costruiscono simmetrie: un dinamismo filosofico, matematico e geometrico che si evolve con il tempo. L'artista ha la sapienza e la conoscenza delle regole della bellezza a un punto tale da sapere quando poterle violare e fare dell'asimmetria, della sproporzione, del difetto la cifra di una nuova idea di bellezza che non sempre riesce a essere subito compresa. Federico Zeri riteneva che se avesse dovuto scegliere l'opera architettonica più bella al mondo, avrebbe indicato il <i>Palazzo della Signoria </i>di Firenze, perché pensato in violazione delle regole della simmetria eppure compiutamente armonico. Un'architettura finalizzata a rappresentare l'arte stessa del governare, la leadership politica, dove l'armonia è raggiunta attraverso l'adattamento e il dosaggio delle regole finalizzato - almeno idealmente - al bene comune. </span></div>
<div class="MsoNormal">
<br /></div>
<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEiF-RJJOO7CYmwViXF_uOq4m86qAtIUfueA6VamRrYuxW6EIyLVNBBjF4UUxT8m3-TBRaZ6l0u3ulqiN7YLSFaKS5dLhYxxIqza9FOVjbsN68HS7UPi_jwaPHOChIqXOPhtHdJCTpBu4SU/s1600/escher_bond_of_union%255B1%255D.jpg" imageanchor="1" style="clear: right; float: right; margin-bottom: 1em; margin-left: 1em;"><img border="0" height="150" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEiF-RJJOO7CYmwViXF_uOq4m86qAtIUfueA6VamRrYuxW6EIyLVNBBjF4UUxT8m3-TBRaZ6l0u3ulqiN7YLSFaKS5dLhYxxIqza9FOVjbsN68HS7UPi_jwaPHOChIqXOPhtHdJCTpBu4SU/s200/escher_bond_of_union%255B1%255D.jpg" width="200" /></a></div>
<div class="MsoNormal">
<span style="font-family: Arial;">L’arte ha il potere
di superare le nostre resistenze e di parlarci con un linguaggio anche<i> a-razionale</i>;
ha la forza di insinuarsi e di diffondersi, come acqua e come aria, in tutto il
nostro essere, sciogliendo la nostra individualità, integrando la nostra vita nel
flusso incessante delle vite degli altri. E’ un potere che si lascia
condividere, che non ammette esclusività, accessibile a chi si lascia accedere,
che supera i piccoli domini materiali, le gelosie, l’esercizio inane del potere
illusorio dei nostri ego. Va ben oltre il comando, la difesa dei diritti, i
diversi interessi particolari; richiama con forza invece a una leadership plurale e
convergente, centrata sulla consapevolezza del proprio essere nel mondo e sul
recupero del noi celato dal nostro io.<o:p></o:p></span></div>Luca B. Fornarolihttp://www.blogger.com/profile/03748694256234831605noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-1001959283733705090.post-6408439932195817052012-01-11T00:29:00.001+01:002012-01-11T00:29:24.599+01:00Le verità alternative: un percorso eretico<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgdQQMgwFHbZvvRTTMd_2JS4dBjTV-FUyzkbg8EQBj6moD_eZYYh9XDbAjvdQyBHM4um3W78T3z9dpl6vElDym4P9ACqMaJdjvltK7Zs-vx6BbtG_fr5kuJUdsQ8o0cmRi-HEadZUJYrAA/s1600/1978_004_cristo_di_gala.jpg" imageanchor="1" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" height="150" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgdQQMgwFHbZvvRTTMd_2JS4dBjTV-FUyzkbg8EQBj6moD_eZYYh9XDbAjvdQyBHM4um3W78T3z9dpl6vElDym4P9ACqMaJdjvltK7Zs-vx6BbtG_fr5kuJUdsQ8o0cmRi-HEadZUJYrAA/s200/1978_004_cristo_di_gala.jpg" width="200" /></a></div>
<span class="Apple-style-span" style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">Parliamo di eresia e di dogma cioè, nell'accezione comune, parliamo di certezze e di controcertezze. Tuttavia, se andiamo a ricercarne le etimologie, scopriamo agli occhi profani cose sorprendenti. La parola “eresia”, infatti, deriva da quella greca “airesis” che a sua volta deriva dal verbo greco “aireo” che significa “prendere”, “scegliere”. L’eresia è quindi etimologicamente una scelta: una scelta ideologica e di vita, non una controverità, ma un'altra verità. <br /><br /> “Dogma” invece deriva da “doxa”, “opinione”. Un dogma in origine era quindi un’opinione, tra le tante possibili, non una verità rivelata, non una certezza assoluta. <br /><br /> Se pertanto eresia vuol dire scelta e dogma opinione, significa che gli antichi greci coglievano nell’una e nell’altro un nucleo imprescindibile di libertà: la libertà di scegliere e la libertà di formarsi un’opinione. Eresia e dogma non erano in contrapposizione: rappresentavano solo opzioni differenti, declinazioni diverse della stessa libertà. <br /><br /> </span><br />
<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
</div>
<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
</div>
<div>
<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEge6Wjloi39kUV4Q8fg06-UlpfzKDOa6-xCX5Pmwm9rmbEAGPREajISoreS6K4zkRjCZEmwx9JHGSCOO5Zie-5IIH-mCCPcUucWEU7P29z9fC0Vomd-AJwuP2WCllfubwan2UxSc76uydI/s1600/Bunuel.jpg" imageanchor="1" style="clear: right; float: right; margin-bottom: 1em; margin-left: 1em;"><img border="0" height="320" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEge6Wjloi39kUV4Q8fg06-UlpfzKDOa6-xCX5Pmwm9rmbEAGPREajISoreS6K4zkRjCZEmwx9JHGSCOO5Zie-5IIH-mCCPcUucWEU7P29z9fC0Vomd-AJwuP2WCllfubwan2UxSc76uydI/s320/Bunuel.jpg" width="220" /></a></div>
<span class="Apple-style-span" style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;"><b><span class="Apple-style-span" style="font-size: large;">I fondamentalismi </span></b><br />E’ con la Chiesa che l’opinione, il dogma, diventa Verità con l'iniziale maiuscola, proveniente da Dio e quindi non tale da ammettere verità diverse; il Vero non può essere altro da quello che è, non c'è spazio per una pluralità di significati. Dogma diventa così sinonimo di verità assunta e incontrovertibile, mentre eretico è ritenuto qualsiasi tentativo di affermazione di una verità personale, soggettiva, collettiva o universale difforme dal dogma. Il primo comandamento viene assorbito nel dogma: “Non avrai altro Dio all'infuori di me” stabilisce che Dio, il Dio della Bibbia, è l'unico fondamento della verità. Chi conosce e fa sua – o pensa di conoscere e di fare propria – la parola di Dio, possiede la verità. <br /><br /> Con la Chiesa nasce quindi la contrapposizione insanabile tra chi cristallizza nel dogma la Verità e chi non lo accetta: si perde nei fondamentalismi la radice comune delle parole nella libertà, si dà origine allo scontro. <br />Ne vengono contaminati tutti campi del sapere, anche quello che dovrebbe essere il più antidogmatico: la conoscenza scientifica. Al dubbio, all'opinione, agli interrogativi, si sostituiscono la verità, la certezza, gli esclamativi. Il metodo scientifico diventa unica prova di realtà: se un fenomeno non è scientificamente accertato non è considerato vero, al di là anche delle più comuni evidenze. Con il nuovo dogma scientista si perdono i saperi umanistici, le conoscenze sapienziali, il mondo a cavallo con la filosofia, esoterico, cabbalistico, il mondo del vero sentire, dominato dalle menti neoplatoniche più raffinate e colte, ben lontano da certa ciarlataneria attuale. Ci vorrà il filosofo Feyerabend nel XX secolo per svelare la debolezza del metodo scientifico, la sua costruzione artificiale, per asserire come spesso sia il caso a governare la scoperta scientifica. <br /><br /> </span><br />
<span class="Apple-style-span" style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif; font-size: large;"><b>L'idea</b></span><br />
<span class="Apple-style-span" style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;"><br /></span><br />
<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEg7sKh8CtNFwRqvDd4sPN-6xerJBr2ks0Wzm5g290ctg3mnWvp_YHtC2dJvcdd7_3GZPRe1tTmeuYJShsGLzu_3I6ybfzKfbN9zs_k9rMXVBEqHDg4sJ6mLnH0S_Y5oVWorHDoHAxhbrNA/s1600/Olivetti.jpg" imageanchor="1" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" height="153" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEg7sKh8CtNFwRqvDd4sPN-6xerJBr2ks0Wzm5g290ctg3mnWvp_YHtC2dJvcdd7_3GZPRe1tTmeuYJShsGLzu_3I6ybfzKfbN9zs_k9rMXVBEqHDg4sJ6mLnH0S_Y5oVWorHDoHAxhbrNA/s200/Olivetti.jpg" width="200" /></a></div>
<span class="Apple-style-span" style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">Per queste e altre ragioni, in collaborazione con l'associazione Commonlands penso possa essere stimolante organizzare un evento (o magari più d’uno) che abbia come tema il contrasto tra il pensiero dominante – il dogma – e i pensieri alternativi – le eresie. Vorrei pertanto non limitare lo sguardo al solo aspetto religioso, ma prendere in considerazione altri campi del sapere e persino aspetti tratti dalla vita di tutti i giorni. <br /><br /> Gli spunti saranno presi da grandi “eresie” in senso lato, che hanno aperto nuove strade della conoscenza e dell'esperienza. <br />L'incontro o gli incontri si potrebbero tenere in un luogo caratteristico dal punto di vista storico, culturale o simbolico e, in tale contesto, affrontare alcuni casi di “eresia”, con l'aiuto di esperti e con la partecipazione attiva del pubblico. </span><br />
<span class="Apple-style-span" style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;"><b><br /></b></span><br />
<span class="Apple-style-span" style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif; font-size: large;"><b>Gli stimoli per la mente </b></span><br />
<span class="Apple-style-span" style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">Ecco alcuni tra gli stimoli eretici a cui ho pensato e che mi sembrano particolarmente intriganti; li elenco in puro disordine, come tanti colorati mattoncini Lego da scomporre e ricomporre in nuove affascinanti geometrie e funzioni:</span><br />
<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjbmlsmo4iAxTVvo9DBxv8MadkAmQkQK1DTKBXnlBvcUg7EY-5hfzYj-Iv1CpRWwFgfXC7Jk1aFcC7UthwgUf-9w5S-bnTez9Xq2j0mAPTrH1qmL24Kuh27wGMJZGdO-byD3RTcn9zen1I/s1600/Tarte+tatin.jpg" imageanchor="1" style="clear: right; float: right; margin-bottom: 1em; margin-left: 1em;"><img border="0" height="200" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjbmlsmo4iAxTVvo9DBxv8MadkAmQkQK1DTKBXnlBvcUg7EY-5hfzYj-Iv1CpRWwFgfXC7Jk1aFcC7UthwgUf-9w5S-bnTez9Xq2j0mAPTrH1qmL24Kuh27wGMJZGdO-byD3RTcn9zen1I/s200/Tarte+tatin.jpg" width="200" /></a></div>
<ul><span class="Apple-style-span" style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">
<li>La figura di A. Olivetti e la sua impresa: investimenti vs tagli dei costi in tempo di crisi. </li>
<li>Il Dadaismo e il Surrealismo nell'arte contemporanea.</li>
<li>La Tarte Tatin: un dessert nato sbagliato. </li>
<li>Eresie gastronomiche: la frittura al glucosio e la mantecatura con azoto liquido; la cucina molecolare di Hervé This (con ricette!). </li>
<li>Steve Jobs, una vita a giocare a “Lascia o Raddoppia?”. </li>
<li>Isaac Newton, fisico e teologo contro la Trinità.</li>
<li>L'integralismo di Gandhi e la guerra non violenta. </li>
<li>L’umanesimo: l’uomo che si fa dio. </li>
<li>La banca dei più poveri: Mohamed Yunus e la Grameen Bank. </li>
<li>Il Piaggio MP3: lo scooter a tre ruote. </li>
<li>Il paradigma di Kuhn e il contrometodo di Feyerabend.</li>
<li>L’Alzheimer, la clinica senza farmaci e la Wii. </li>
<li>La cupola del Brunelleschi: perché non cade? </li>
<li>La riforma della psichiatria nella geniale follia di Basaglia. </li>
<li>Il cinema di Luis Bunuel e i pugni nello stomaco del conformismo. </li>
<li>Caravaggio, criminale, innovatore, postmoderno. </li>
<li>Sun Tzu, l'Arte della Guerra e il weiqi: la tradizione altrui, un'eresia per i nostri strateghi. </li>
</span></ul>
<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgYosa_SexfEfhSK_ub5QaG4-NkCCYUyInfQUHXIIgh6XN4nAu0Bj9UzyMiLoHrIUD2l_kpmuQZByEZ-qtVIYagrKAaulzb8M36yIyUQON8SCJM4FeqUBrjIbRrC_gGOC_NwAmY4ceAlrk/s1600/Newton.jpg" imageanchor="1" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" height="200" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgYosa_SexfEfhSK_ub5QaG4-NkCCYUyInfQUHXIIgh6XN4nAu0Bj9UzyMiLoHrIUD2l_kpmuQZByEZ-qtVIYagrKAaulzb8M36yIyUQON8SCJM4FeqUBrjIbRrC_gGOC_NwAmY4ceAlrk/s200/Newton.jpg" width="188" /></a></div>
<span class="Apple-style-span" style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">
Molti altri potrebbero essere gli stimoli, il mio elenco ha preso forma attraverso un semplice criterio impressionistico che tuttavia confido possa arricchirsi soprattutto coi vostri contributi. </span></div>Luca B. Fornarolihttp://www.blogger.com/profile/03748694256234831605noreply@blogger.com1tag:blogger.com,1999:blog-1001959283733705090.post-83334087362750028342011-12-13T19:08:00.005+01:002011-12-13T19:08:52.407+01:00Il padrone di casa<div class="MsoNormal">
<span style="font-family: Arial;">Era un tipo simpatico,
cordiale, accogliente. Sicuro della buona impressione che faceva; attento a non
essere inopportuno, ma alquanto generoso nei gesti. Era di una cordialità a cui
non ci si poteva sottrarre, non prevedeva rifiuti; lui aveva stabilito le
regole, anche quelle della cortesia, e io ero nella sua tana, prigioniero della
sua buona educazione da ricco borghese. Aveva il piglio di chi ti vuole
istruire, educare, come certe donne che pensano tu possa essere argilla tra le
loro mani. Dicono di stimarti, apprezzarti, persino volerti bene, ma non vai
mai bene così come sei: ti aggiustano, ti modificano, ti rendono più adatto
alla loro immaginazione. Torni a essere il bambolotto di quando erano bambine,
da accudire, vestire, lavare, rimproverare e portarsi a letto, finché non trovano
che occupi troppo spazio anche lì e finisci in un cesto con altri giochi o nel
cesto della loro peggiore amica. <o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal">
<span style="font-family: Arial;"><br /></span></div>
<div class="separator" style="clear: both; text-align: left;">
<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEggSmMK_cRB3aH66-mfvnWaoCTET3vguV5EmgWRCknenaPOy0oFluMpg8WONbpvwPU8QigrlvK5lJg3WohcGfGLyA4EwdHkeAIq45dZ8tgU3NVdXlD0EM0FbVN-3r6HnNnnQV4bOgzTO48/s1600/Decanter.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEggSmMK_cRB3aH66-mfvnWaoCTET3vguV5EmgWRCknenaPOy0oFluMpg8WONbpvwPU8QigrlvK5lJg3WohcGfGLyA4EwdHkeAIq45dZ8tgU3NVdXlD0EM0FbVN-3r6HnNnnQV4bOgzTO48/s1600/Decanter.jpg" /></a></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: left;">
<span class="Apple-style-span" style="font-family: Arial;"><br /></span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: left;">
<span class="Apple-style-span" style="font-family: Arial;">Così il mio ospite aveva
succhiato la mia libertà e l'aveva riposta nel decanter dove riposava un
pregevole Bordeaux, non un grand cru, sarebbe stato un gesto volgare, esibito,
non degno del ritratto di se stesso che stava incarnando; del resto non ci
eravamo mai incontrati prima, non avevamo ancora avuto il piacere di
conoscerci, come avrebbe detto lui.</span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: left;">
<span style="font-family: Arial;">C’era nel suo sguardo, ma
soprattutto nel tono di voce, un’ombra inquietante, qualcosa che egli lasciava
sapientemente sfuggire da un controllo non meno oppressivo di quello che
esercitava sui suoi invitati. Era la sua esca; sapeva che solo coloro che avessero
provato il disagio di accorgersene, avrebbero meritato di accogliere la sua
lenta e paziente tortura, quel sapiente ed erotico assaporare a piccoli sorsi la
loro anima. <o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal">
<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjh3w2QyKp5HkzrW16fBquNG8lOLSTAOxPIkZ-A6ixkLNuwK4vcti8Y5rOnXbKRoz1D029Poe8qB2PUkrwTe7CpmlbYwydwrj7cqRRDsjTVSQ68PfUuFsSsZG55rImOSvuNQU9_bWsKIUM/h80/Fagianella.jpg" imageanchor="1" style="clear: right; float: right; margin-bottom: 1em; margin-left: 1em;"><img border="0" height="307" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjh3w2QyKp5HkzrW16fBquNG8lOLSTAOxPIkZ-A6ixkLNuwK4vcti8Y5rOnXbKRoz1D029Poe8qB2PUkrwTe7CpmlbYwydwrj7cqRRDsjTVSQ68PfUuFsSsZG55rImOSvuNQU9_bWsKIUM/h80/Fagianella.jpg" width="320" /></a><span style="font-family: Arial;">Delia ne era stata
conquistata, lo conosceva da tempo, e io non capivo se lo sfilamento della mia
libertà fosse solo gelosa competizione. Lei non coglieva quell’ombra malvagia,
per lei erano sfumature di eleganza, buone maniere modellate da viaggi,
frequentazioni e letture di cui io non avevo mai goduto, stretto nelle mie precarie
risorse e che Delia riteneva invece di poter esigere dalla vita, attendendone l’occasione.<o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: right;">
<span class="Apple-style-span" style="font-family: Arial;"><br /></span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: left;">
<span class="Apple-style-span" style="font-family: Arial;">A lui non interessava Delia,
era una preda troppo facile, come quelle fagianelle che vengono lasciate volare
nelle riserve affinché i soci dal fiato corto le possano cacciare con tutta
calma, dare una ragione a tutta l’umidità che i loro reumi hanno collezionato e
sedersi finalmente a tavola a raccontare dell’Ungheria, dei cinghiali spagnoli,
delle oche canadesi delle cento spedizioni di quando non c’erano freddi né
fatiche a impedire di riempire i loro carnieri. No, ero io l’animale da catturare
e far frollare, mi stimava intelligente e colto molto più di quanto io non
fossi grazie alle sciocchezze che certamente Delia gli aveva raccontato: lei mi
considerava un uomo di talento, ma un fallito; un fallito tanto più biasimevole
quanto maggiore era il talento che riconosceva in me e che giustificava il
fatto che si facesse vedere in mia compagnia anche quando eravamo da soli e
nessuno poteva in verità vederci. L’ambita preda ero io e lei stessa avrebbe
goduto nel vedermi catturato da un uomo così diverso da me, così vicino alle
sue aspirazioni, così somigliante a quello che avrei potuto essere - e forse
avere - se non fosse stato per colpa mia e per la mia inconcludenza.</span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: left;">
<span style="font-family: Arial;">Fu a quel punto che non mi volli
trattenere. E tra lini, cristalli e porcellane, dalle viscerali profondità
dell'anima mi liberai "buono, Lucio, questo vinello", fingendo di
soffocare un leggero ruttino"...<o:p></o:p></span></div>Luca B. Fornarolihttp://www.blogger.com/profile/03748694256234831605noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-1001959283733705090.post-86016995161513866832011-12-06T14:52:00.001+01:002011-12-13T19:12:51.366+01:00Il Quizzone<br />
<span class="Apple-style-span" style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">"Signora buongiorno. Siamo della televisione; oggi e' proprio la sua giornata fortunata, sa? L'abbiamo estratta come concorrente da casa del nostro Quizzone. </span><span class="Apple-style-span" style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">E' contenta? Brava signora. E' pronta?".</span><br />
<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
</div>
<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEi-Gr9ygtMdlHfQeTnfBLn953ROQCR6k_wUm336ovef1yNC6rAfj4mutNtY6v3kq44vhihNTEo3C01OW_huznDwT3rXG8-_dDoSicboUyTcNOzklkBIIxPUgvIstrto03Fq_L-7TPxix2g/s1600/Bara+ghana.jpg" imageanchor="1" style="clear: right; float: right; margin-bottom: 1em; margin-left: 1em;"><img border="0" height="320" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEi-Gr9ygtMdlHfQeTnfBLn953ROQCR6k_wUm336ovef1yNC6rAfj4mutNtY6v3kq44vhihNTEo3C01OW_huznDwT3rXG8-_dDoSicboUyTcNOzklkBIIxPUgvIstrto03Fq_L-7TPxix2g/s320/Bara+ghana.jpg" width="203" /></a><span class="Apple-style-span" style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">"No, mi scusi, non e' il momento. Mio marito sta molto male".
<br />"Benissimo signora! Allora sbrighiamoci, facciamo in fretta nel caso le servisse un aiutino proprio da lui...! Come si chiama suo marito, Guido?"<br />"No, si chiama Sergio. Ma guardi non e' il caso...". <br />"Sergio ha detto? E' sicura signora che si chiami Sergio? Non vuole cambiare idea? Ha ancora una risposta di scorta, se vuole...” <br />“Sì, si chiama Sergio e sta male, Sergio mio”. <br />“Che peccato signora, un vero peccato. Se avesse risposto “Guido”, avrebbe vinto il nostro premio speciale "vinci con Guido", una magnifica cassa da morto zincata Foppa Pedretti a forma di cabriolet. E' ancora li' signora? Presto signora prima che scada il tempo e Giorgio, cioè... Sergio, l'abbandoni! Ce l'ha la risposta? Ci dica chi conduce il bellissimo show del sabato sul canale nazionale. Chieda a suo marito, a Sergio, non perda tempo!". <br />"Un attimo, un attimo. Proprio ora. Sergio, Sergiooo... Sergio, ahhh!!! E' morto, il mio Sergio! Sergio, parla Sergio! E' morto... Dio, è morto...". <br />"Ma che peccato signora mia, troppo tardi! Sergio, anche tu, aspettavi un momento e facevi vincere a tua moglie due sedute gratuite di chemioterapia – pensi signora - al San Raffaele di Milano. Davvero un peccato. Vabbe' per consolazione le regaliamo un buono sconto per due persone per la sua cremazione. E' contenta? Brava signora! Ciao Sergio, sarà per la prossima volta, riposa in pace. E, mi raccomando, continuate a seguirci. In palio, come sempre, ricchissimi premi!" <br />“Sergio, Sergiooo, oh Dio!!! Sergio... lo show del sabato... magari tu lo sapevi, Sergio, parla..." </span>Luca B. Fornarolihttp://www.blogger.com/profile/03748694256234831605noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-1001959283733705090.post-78229135450886915272011-12-05T02:06:00.001+01:002011-12-06T15:03:09.986+01:00Regalati un sorriso<span style="font-family: Tahoma;">"Non farti vincere dall'egoismo e anche tu
"Regalati un sorriso", contribuisci all'istruzione dei bambini del
Sud del mondo; investi nella loro formazione professionale. Piccoli saldatori,
fonditori, addetti agli scarti chimici, intagliatori di alberi da gomma,
scavatori d'oro nelle miniere, abili scalatori di montagne di spazzatura,
piccole portatrici d'acqua, badanti, massaggiatrici. </span><br />
<span style="font-family: Tahoma;"><br /></span><br />
<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEiCuCcvY4bJtQfWUeaOaIG6agg3ZDpGNjiAavXhHmflKlN-2WAQq9vwrTAWbUZqCIanYDdFeNJ53gDC54Y1NRCgILkbU-elAPXLXakYjBlMCSmmDDWkoPZvnQs5L6KtiLXMUDR1zTYYDE4/s1600/images%255B9%255D.jpg" imageanchor="1" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" height="211" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEiCuCcvY4bJtQfWUeaOaIG6agg3ZDpGNjiAavXhHmflKlN-2WAQq9vwrTAWbUZqCIanYDdFeNJ53gDC54Y1NRCgILkbU-elAPXLXakYjBlMCSmmDDWkoPZvnQs5L6KtiLXMUDR1zTYYDE4/s320/images%255B9%255D.jpg" width="320" /></a></div>
<span class="Apple-style-span" style="font-family: Tahoma;">Garantisci un lavoro a
tutto questo capitale umano che non ha l’opportunità di potersi esprimere: smetti
di indugiare e compra anche tu un rene da un bambino povero. Sarà
l'investimento del tuo cuore: lo potrai conservare, usare o addirittura
rivendere a prezzo maggiorato a chi ne avesse più bisogno di te e coi guadagni
fare magari un altro acquisto solidale. Regala e regalati un sorriso, fai un
gesto generoso per tanti piccolini cui è stato rubato il futuro. Fallo ora,
basta un clic su www.loveandkidneys.com. </span><br />
<span class="Apple-style-span" style="font-family: Tahoma;">Per Natale, non farti scappare le meravigliose
confezioni regalo fatte a mano dai nostri bambini."</span>Luca B. Fornarolihttp://www.blogger.com/profile/03748694256234831605noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-1001959283733705090.post-40095397403022820842011-11-30T17:18:00.001+01:002011-12-05T02:13:41.476+01:00L'uomo e la poltrona<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEil1eq8Q2Phf_1iF_mK9HxRCMOlr8waYenehlb6CAhE-dDzHlVBEMK1aNKdy18tJSFcSxLSSwjB9-yjAS79trQWDOtdj5NDC_JAfS8-9OwjLr2XI3mtpIJ9uh9B_V-EjbjRD4Nquqpjph8/s1600/FernandoBotero%255B1%255D.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" dda="true" height="320px" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEil1eq8Q2Phf_1iF_mK9HxRCMOlr8waYenehlb6CAhE-dDzHlVBEMK1aNKdy18tJSFcSxLSSwjB9-yjAS79trQWDOtdj5NDC_JAfS8-9OwjLr2XI3mtpIJ9uh9B_V-EjbjRD4Nquqpjph8/s320/FernandoBotero%255B1%255D.jpg" width="233px" /></a></div>
<span class="Apple-style-span" style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">Oh, che peso... pfff, mi fa reclinare il mento sul petto, le guance elastiche immobili; non ho mai avuto la pelle della faccia cosi pesante. Un’ espressione fissa, come assopita, un innaturale turgore, idropisico. Le gambe ormai cilindri calcificati, esangui. Sto incorporando me stesso, in uno spesso, acromatico amorfismo, come formaggio che, fuso, raffreddato rapprende. Mi sciolgo in un’unica massa grassa con la poltrona su cui mi spalmo, comodo. Non filtro aria, sono diventato una cosa, liscia, lì nell'angolo, tra gli scaffali dei libri e la gente che passa e si ferma. Una ragazza ne prende uno, distratta, magra, flessuosa, mi guarda e si siede su di me. Prendo lentamente le sue forme, ricalco le pieghe del suo abito corto di maglia leggera; la avvolgo inerte mentre lei sprofonda silenziosamente nella mia materia densa. Legge e soffoca dolcemente e sparisce in me. Seduto davanti a scaffali pieni di libri, la gente che passa e si ferma, morbido, stanchissimo, avvolgente assassino.</span>Luca B. Fornarolihttp://www.blogger.com/profile/03748694256234831605noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-1001959283733705090.post-42098983299883708352011-08-08T02:59:00.001+02:002011-08-08T03:06:50.184+02:00Parla come mangi: il gusto delle parole<span style="font-family: Arial, sans-serif;">L'italiano senza ortografia è come le note senza le pause: non ne nasce musica. Talvolta penso che avesse ragione quel professore in pensione che in un racconto di Sciascia - magistralmente interpretato al cinema da Volontè - diceva a un tronfio Procuratore della Repubblica che "l'italiano non è l'Italiano, l'italiano è Ragionare".</span><br />
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<span style="font-family: Arial, sans-serif;"><a href="http://www.youtube.com/watch?v=_pqTu9Np_gE&feature=BFa&list=PL10999B31813727E5&index=21">G. Volontè, "L'italiano è Ragionare" (L. Sciascia)</a></span><br />
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<span style="font-family: Arial, sans-serif;">Ho amici tuttavia che l'italiano lo masticano poco, che non hanno avuto una significativa istruzione formale, ma che ragionano benissimo, con sottigliezza, originalità e acume. Forse l'avvertimento di Sciascia è per coloro che pomposamente l'italiano credono di conoscerlo. Una cosa è infatti fare errori formali quando si hanno gli strumenti intellettuali per non farli, un'altra è farli per mancanza di istruzione. Nel primo caso avrò a che fare con la sciatteria del somaro, il pressappochismo dell'arrogante; nel secondo ho a che fare con qualcuno da cui magari posso comunque imparare qualcosa. </span><br />
<span style="font-family: Arial, sans-serif;">La mia nonna (classe 1896) aveva la quinta elementare, ma aveva il cervello fino e le piaceva leggere e ascoltare la radio. Seguiva il canale retoromancio, perché le ricordava il suono del dialetto dei suoi nonni, facendomi capire che anche la pronuncia dei nostri dialetti ambrosiani è molto cambiata nei decenni. <br />
Quando cercava di parlare in italiano (lo faceva di rado e solo per rispetto di un interlocutore a cui si sentiva inferiore per istruzione) faceva un po' ridere, spesso si prendeva in giro, ma non diceva banalità: parlava di guerra, di fame, della Patria (per lei rigorosamente con la lettera maiuscola) a cui aveva dato oro e pentole di rame, della bellezza del lavoro nei campi e della fatica e amava parlare della morte, del dopo, del "e se sono tutte balle e non c'è niente?". E' morta a 95 anni. Ho passato insieme a lei molte estati fino alla fine: mi ha dato molto più dei libri che ho studiato e degli insegnanti che ho avuto: di Maestri purtroppo non ho mai avuto la fortuna di conoscerne, né sul lavoro né fuori. <br />
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Anch'io però ho la sindrome della maestrina con la penna rossa e non sopporto il "qual'è" scritto con l'apostrofo - con buona pace di Tobino e di tutti gli altri toscani - per non parlare di quando accompagna l'articolo indeterminativo maschile o di quel maledetto "pò" che non è neanche un fiume. Non sopporto neppure che si cominci una frase - come ho fatto quattro righe fa - con un "anche", una congiunzione, un avverbio. Pretendo la maiuscola per i nomi propri, per quelli dei miei amici, dei semplici conoscenti e pure dei miei nemici. Che senso avrebbe altrimenti insistere tanto sull'importanza delle persone, del “capitale umano”, se poi i nomi delle stesse li scriviamo in minuscolo? Lascio libertà di scelta per papa e dio che io preferisco scrivere minuscoli per una mia personale forma di integralismo religioso. Perché (con l'accento giusto) la forma è sostanza anche senza scomodare Norbert Elias e tutti quei sociologi lì. E quando la forma non è sostanza (sì, inizio con una bella "e", perché sto dando enfasi), non è neppure forma, ma solo una vuota caricatura della stessa. E' far roteare il bicchiere per far credere d'essere un intenditore di vino. <br />
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Tuttavia la lingua vive attraverso le persone che la usano, non si riduce né alla cristallizzazione lessicale né alla sua etimologia: l'”epperò” di Carlo Bo per dire “e perciò” era un vezzo ottocentesco e forse anche una carloboiata. Il significato etimologico inoltre è solo una radice, non comprende tutta la pianta e tutti i frutti che essa può dare. Non ho mai amato D'Annunzio, ma la sua capacità di inventare parole era straordinaria. E così per la forgia letteraria del Gadda e per... il Villaggio. Fantozzi è un capolavoro lessicale: lo “spigato siberiano”, la “mutanda ascellare”, il “megadirettoregalattico”, l'uso originale delle iperboli, la “molta lagunarità” di Venezia, i falsi congiuntivi che tra “venghi”, “facci” e “vadi” sostituiscono alla natura dubbiosa di quel modo, la certezza della volontà di un'ascesa sociale, l'accesso riservato al modo esclusivo di riconoscimento delle classi colte. </span><br />
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<span style="font-family: Arial, sans-serif;">Pignoleria e pedanteria fanno molto piacere quando appartengono al neurochirurgo che ci opera al cervello o al pilota dell'aereo sul quale stiamo viaggiando. Il diavolo, si sa, si nasconde nei dettagli e confonde i contesti. E' però la mancanza di coerenza tra quel che si dice, come lo si dice e quel che si fa che mi disturba assai di più delle sgrammaticature. Se si è fuori dalla sala operatoria e non si sta volando, la sciatteria dell'anima è ben più dannosa di quella del pensiero, </span><br />
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“<span style="font-family: Arial, sans-serif;">Walk the talk” è una bella espressione angloamericana non tanto dissimile dalla nostrana "parla come mangi". Io interpreto quest'ultima in modo personalissimo e interessato: mangiare bene per parlare bene. Pensare e dire parole gustose, chiare, croccanti, genuine, talvolta delicate, ma, quando occorre, ben sapide o piccanti. In ogni caso, che non manchino mai né di sale né di pepe, sennò è assai più saporito il silenzio. Soprattutto che siano parole nostre, fatte da noi, che raccontino la nostra storia, le nostre abilità e le nostre lacune, i nostri pochi pregi e i molti difetti e non invece acquistate surgelate e riscaldate al microonde. </span><br />
<span style="font-family: Arial, sans-serif;"><br />
Mi affascina pensare che le parole nascano dal dialogo, dallo scambio, prendano forma, si colorino, acquistino nuovo significato proprio attraverso la conversazione che ne fa da incubatrice. I pensieri si alimentino, le idee comincino a camminare anche solo per fare il giro del tavolo, gli ascolti si incrocino, i silenzi giungano nel medesimo istante, qualcosa accada di molto profondo: una condivisione, uno scambiarsi gli abiti. Ecco che le parole cominciano a scriversi nelle anime, calligrafie indelebili che a distanza di anni, di esperienze, di vita, di lontananze rimangono reciprocamente leggibili, significati che il tempo non impoverisce. </span><br />
<span style="font-family: Arial, sans-serif;">Approdi sicuri quando anni di misero chiacchiericcio ci portano al naufragio. </span>Luca B. Fornarolihttp://www.blogger.com/profile/03748694256234831605noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-1001959283733705090.post-68245309137234748712011-08-03T04:49:00.001+02:002011-08-03T04:50:55.928+02:00Homo homini lupus...<span style="font-family: Arial, sans-serif;">In “Una meravigliosa vita da cani” di Graeme Sims è riportata un'antica leggenda Cherokee che parla dei conflitti che ogni uomo porta dentro di sé. La storia mi è stata segnalata da Paolo G. Bianchi (<a href="http://www.formazionezero.blogspot.com/">http://www.formazionezero.blogspot.com/</a>) e narra del dialogo tra un capo Cherokee e il suo nipotino. </span><br />
“<span style="font-family: Arial, sans-serif;">Nell'animo abbiamo due lupi in continuo combattimento: uno è il male che ci porta rabbia, invidia, gelosia, scontento, rimpianto, avidità, arroganza, autocommiserazione, prepotenza, rancore, meschinità, menzogna, falso orgoglio, presunzione, egoismo. L'altro invece è il bene che ci regala gioia, pace, amore, speranza, serenità, umiltà, bontà, benevolenza, empatia, generosità, verità, compassione, fiducia."<br />
Il nipotino rifletté allora un po' e poi chiese al nonno: "Quale lupo alla fine vince?"<br />
E il vecchio rispose: "Quello a cui darai da mangiare". </span><br />
<span style="font-family: Arial, sans-serif;">Mi piace questo apologo perché riconduce il dilemma bene-male all'intimo di ognuno di noi: i due lupi li abbiamo dentro e siamo noi che li nutriamo. Ovunque invece i due lupi vengono rappresentati vivere vite separate: il lupo Bene siamo noi, onesti, corretti, etici, attenti, sensibili, integerrimi, "in bicicletta". Il lupo Male sono gli altri, egoisti, carrieristi, cinici, spietati, conformisti, "col suv". <br />
Il tutto mi fa venire in mente una discussione cui ho partecipato più di un anno fa in un forum professionale sull'apologo di una rana che porta generosamente sulle spalle uno scorpione nel guadare un fiume. Lo scorpione alla fine uccide la rana, perché è la sua natura. Gli intervenuti alla discussione stigmatizzarono il fatto che molti (sempre gli altri) nelle aziende si comportino da scorpioni, inaffidabili, pronti a pugnalarti, indifferenti al bene comune, ma solo al proprio interesse. </span><br />
<span style="font-family: Arial, sans-serif;">Peccherò di qualunquismo, ma per parte mia continuo a pensare che nella nostra vita siamo spesso rane e altrettanto spesso scorpioni, non per natura, bensì per volontà e circostanze. Peccato che non siamo mai elefanti, sennò ce ne ricorderemmo. </span><br />
<span style="font-family: Arial, sans-serif;">E' facilissimo essere etici e irreprensibili quando non agisci, quando eviti tutte le situazioni in cui i tuoi valori vengono messi in gioco, quando non devi fare scelte, ma non intendo scelte meramente ideologiche: intendo scelte concrete. Licenzio o non licenzio; abortisco o tengo il bambino; me ne vado di casa o resto con la mia famiglia; non cedo e rinuncio ai vantaggi economici, ma salvo la mia dignità o cedo, perdo la faccia, ma coi vantaggi che ne traggo assicuro ai miei figli un futuro migliore? <br />
Tutte le volte che sento qualcuno vantarsi della propria integrità morale, mi viene sempre in mente quell'aforisma che dice che per avere la coscienza pulita basta non usarla. L'ostentazione della propria moralità è una delle cose più insopportabili nelle persone: è una barriera, un guardare agli altri dall'alto verso il basso, un essere totalmente distratto rispetto alle debolezze e sofferenze degli altri e abbacinato invece dal proprio candore. C'è una ricchezza straordinaria negli errori, nell'incoerenza, nei cedimenti, nei tradimenti verso se stessi e gli altri: la ricchezza di un percorso che ti porta forse a capire meglio chi ti sta intorno, a vestirne gli abiti senza puntare dita, senza giudizi, senza bisogno di ridurre le persone all'etichetta che vorresti appiccicare loro addosso. Comprenderli senza volerli cambiare, migliorare, far crescere, formare. Comprenderli solo per aiutare a cambiare te stesso. </span><br />
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<span style="font-family: Arial, sans-serif;"><a href="http://www.youtube.com/watch?v=uxdbyCep_2A">G. Gaber - I mostri che abbiamo dentro</a></span>Luca B. Fornarolihttp://www.blogger.com/profile/03748694256234831605noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-1001959283733705090.post-33807337988774380652011-07-22T05:57:00.000+02:002011-07-22T05:57:01.221+02:00La cultura e i saperi<div class="MsoNormal" style="margin: 0in 0in 0pt; mso-layout-grid-align: none;"><span style="font-family: Arial;">L’espressione cultura del territorio va oggi di gran moda e non solo nelle cantine e nelle cucine, ma anche nelle assisi politiche o in coloro che per far fronte alla disgregazione dell’economia globale, ad essa vogliono opporre il recupero della ricchezza delle produzioni locali che si esprime o con la difesa nazionalistica dei frutti dell’italico ingegno o con la poco felice e un po’ oscura formula del glocalismo.</span></div><div class="MsoNormal" style="margin: 0in 0in 0pt; mso-layout-grid-align: none;"><span style="font-family: Arial;">Preferisco invece pensare all’idea di diversi territori connessi, passando quindi dall'espressione "nostro territorio" a quella di "nostre connessioni territoriali" intendendo in questo modo la possibilità di contaminazioni tra realtà locali distanti che si integrano in una realtà più estesa, un locus fluidus, che non sia indefinito, ma che possa avere molte e diverse definizioni, molti e diversi con-fini, intesi simultaneamente come perimetri e finalità, ma non come frontiere.</span></div><div class="MsoNormal" style="margin: 0in 0in 0pt; mso-layout-grid-align: none;"><br />
</div><div class="MsoNormal" style="margin: 0in 0in 0pt; mso-layout-grid-align: none;"><span style="font-family: Arial;">L’uso del termine cultura in generale non mi piace né con la maiuscola né senza. Puzza di scuola (le scuole puzzano di pessimi detersivi, ormoni instabili, idee stantie, ignobili motivazioni e - spesso - insegnanti sciatti), di insopportabile - per me che pur sono liberale - pensiero crociano. Mi piace di più l'idea di sapere e saperi. Perché? Perché c'è quella radice sap che li accumuna ai sapori e che deriva dal sale. Il sale dell'intelligenza che dà sapore al sapere. Il sapere si gusta, come le cose buone. Il sapere è volto al futuro, <personname productid="la Kultura" w:st="on">la Kultura</personname> al passato; il sapere è generativo, <personname productid="la Kultura" w:st="on">la Kultura</personname> fa compiacere delle proprie riflessioni; il sapere si proietta verso gli altri, spinge alla collaborazione, alla ricerca, <personname productid="la Kultura" w:st="on">la Kultura</personname> ne è la cristallizzazione spesso intimista. Secondo me la fase progettuale di un'iniziativa allo stato nascente è quella della ricerca e creazione dei saperi, quella dei giorni che precedono il sabato della Genesi. </span></div>Luca B. Fornarolihttp://www.blogger.com/profile/03748694256234831605noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-1001959283733705090.post-85708882399219545952011-06-30T16:59:00.001+02:002011-06-30T17:00:38.324+02:00Il Poeta<span style="font-family: Arial, sans-serif;">Incede lentamente, sorridente, tra la sala plaudente, sicuro nel suo completo blu di taglio ordinario, quel tanto di ordinario che lo fa apparire normale, comune, alla pari coi suoi collaboratori, una specie di divisa manageriale, un abito comodo che ha già visto molte platee e raccolti molti consensi, applausi e sorrisi ceramici di circostanza.</span> <br />
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</div><div style="margin-bottom: 0cm;"><span style="font-family: Arial, sans-serif;">S'avvia verso il palco dove lo attende il suo amico, il moderatore, stazzonato nel suo abito di lino chiaro, alternativo, da libero pensatore di nuovi modelli relazionali, nuovi approcci, nuovi linguaggi e qualche vecchia piaggeria.</span></div><div style="margin-bottom: 0cm;"><br />
</div><div style="margin-bottom: 0cm;"><span style="font-family: Arial, sans-serif;">Due belle poltrone di pelle attendono di accogliere i loro deretani tra le morbidezze di cuscini trapuntati, coerenti col gusto della sala, tutta dipinti, moquette damascate e boiserie brianzole che fanno tanto effetto Villaggio Potemkin.</span></div><div style="margin-bottom: 0cm;"><br />
</div><div style="margin-bottom: 0cm;"><span style="font-family: Arial, sans-serif;">Solo i relatori importanti hanno l'onore della seduta di cuoio, tutti gli altri invece vengono avvicendati lungo un tavolo di formica da anonima sala conferenze, dal quale poter promuovere loro stessi, l'Azienda e dire qualche frase la cui confezione ha ormai perso freschezza, originalità e pulizia. Se per caso a qualcuno scappa di dire qualcosa di intelligente, sarà l'accurata opera dei moderatori a sterilizzare tutto affinché nessuno degli intervenuti o degli sponsor possa aversene a male.</span></div><div style="margin-bottom: 0cm;"><br />
</div><div style="margin-bottom: 0cm;"><span style="font-family: Arial, sans-serif;">L'uomo in blu si presenta, tutti lo chiamano direttore delle risorse umane, ma lui preferisce definirsi Poeta e inizia a declamare i suoi versi alla sala attonita, uno sbigottimento che il Poeta e il moderatore leggono come testimonianza di ammirazione. Una poesia, un'altra, alcuni passi da un libro, educati scambi di complimenti, ancora qualche verso tra il brusio degli astanti forse invidiosi per tanta bravura e creatività. </span></div><div style="margin-bottom: 0cm;"><br />
</div><div style="margin-bottom: 0cm;"><span style="font-family: Arial, sans-serif;">Il Poeta d'un tratto ricorda di lavorare in una fabbrica e di esserne il responsabile del personale ed eccolo prodursi in elevate considerazioni sulla motivazione dei lavoratori e sulla nobiltà del lavoro manuale, l'estetica della fatica fisica, la bellezza del muscolo teso, della fronte imperlata di sudore e delle voci operaie che imprecano se il lavoro non riesce ben fatto. Sembra respirarsi l'atmosfera musicale di certi mercati liguri immortalati da De Andrè. </span></div><div style="margin-bottom: 0cm;"><span style="font-family: Arial, sans-serif;">La fabbrica, le macchine, il lavoratore vengono cantati dal nostro Poeta in un suo nuovo componimento di cui suole omaggiare le sue operose persone che non mancano mai di ringraziarlo commosse. Gli stessi sindacati ormai hanno capito che una gara tra liriche è certamente più costruttiva di qualsiasi aspro confronto e preferiscono l'agone poetico alla lotta salariale. Del resto – come il Poeta non manca di sottolineare con un ghigno sinistramente prosaico – qualche verso ben ritmato, alle casse dell'azienda, pesa sempre di meno di un aumento nella busta paga e sortisce lo stesso effetto ipnotico.</span></div><div style="margin-bottom: 0cm;"></div><div style="margin-bottom: 0cm;"><span style="font-family: Arial, sans-serif;">Il pubblico accompagna le parole dell'ispirato responsabile delle risorse umane e il controcanto dell'amico moderatore con un applauso che non esprime tanto consenso quanto adattamento al primo della sala che ha iniziato a battere le mani. </span></div><div style="margin-bottom: 0cm;"><span style="font-family: Arial, sans-serif;">Gli uomini del personale, si sa, sono avvezzi al conformismo e interpretano l'autonomia di pensiero e di volontà come mancanza di spirito di squadra. Il loro modello rimangono gli ovini, da cui indiscutibilmente si ricavano ottimi caci, buone stoffe, mangiano assai meno di quanto producono e ogni tanto s'offrono all'estremo sacrificio. </span></div><div style="margin-bottom: 0cm;"><span style="font-family: Arial, sans-serif;">L'ovino è la perfetta quintessenza della visione del mondo dei direttori del personale e in esso - si dice - si incarnino dopo la morte da pensionamento.</span></div><div style="margin-bottom: 0cm;"><span style="font-family: Arial, sans-serif;">Orbene, recitate le poesie, raccolti gli applausi, attese le liturgiche accondiscendenze da parte del sacerdote celebrante, dal fondo della sala, il tecnico in tuta verde che sta riparando l'impianto delle luci, punta i suoi occhi di fuoco contro il Poeta e con aria fiera, maestosa che lo fa apparire un gigante tra tutti quegli omuncoli e quelle donnicciole, brandendo qualcosa di lucido metallo, lo lancia come un fiore d'acciaio all'indirizzo della testa laureata del Poeta che con un colpo sordo stramazza al suolo in una pozzanghera d'acqua. Giacché di sangue non se ne vede l'ombra. </span></div><div style="margin-bottom: 0cm;"><span style="font-family: Arial, sans-serif;">E subito s'ode un suono delicato, come di cetra e ognuno vede il tecnico in tuta verde accarezzare con la punta delle dita lo strumento a corde e declamare alcuni versi su come si librino nell'aria, come rondini, le chiavi inglesi. </span></div><div style="margin-bottom: 0cm;"><br />
</div><div style="margin-bottom: 0cm;"><span style="font-family: Arial, sans-serif;">Tutto quel che vi ho detto, a Milano, qualche giorno fa, è realmente accaduto e solo il finale l'ho purtroppo solo sognato. </span></div><div style="margin-bottom: 0cm;"><br />
</div>Luca B. Fornarolihttp://www.blogger.com/profile/03748694256234831605noreply@blogger.com0