mercoledì 15 aprile 2015

LinkedIn: il conformismo e il niente


LinkedIn è un nonluogo meraviglioso. Viene usato per presentarsi, ma senza esporsi. Non una presa di posizione, tutto in guanti bianchi, per non urtare, solo convincere, persuadere, rendersi appetibili, ma non troppo saporiti. Un pizzico di banalità qua, una nuance di originalità là, tutto pulito, profumato con quella nota tipica dei deodoranti da bagno.
Un nonluogo fatto apposta per non sembrare troppo di niente. E a furia di non sembrare troppo di niente si finisce per essere quel niente.
Mi si chiede che cosa si possa fare per dare un po' di sangue, proteine e vitamine a questo corpo anemico che, attraverso un social, diventa la metafora perfetta di molti rapporti di lavoro, l'atteggiamento più promosso e diffuso nelle aziende.
Credo in passato di aver fatto la mia parte nell'oppormi a un certo andazzo tanto da essere considerato un paria ormai da molti, colleghi esimi compresi. Continuo a non farmi dire che cosa devo pensare, dire e fare, da nessuno. Se devo proprio sbagliare, sbaglio da me, grazie. Dire di sì quando è sì e di no quando è no - o "forse" se si ritiene giusto sospendere il giudizio - è un buon modo per sottrarsi alla metamorfosi ovina. E comunque essere disposti a pagare sempre in prima persona. 
Non credo si possa fare molto di più di denunciare il conformismo e la mancanza totale di riflessione critica che sembra una specialità del sistema italia, così mafioso e feudale da
corrompere anche multinazionali che in patria operano con maggiore spirito autocritico e apertura alle differenze. Il sistema Italia trova invece adeguate stampelle anche presso impresentabili società di consulenza e formazione. Non impresentabili in quanto a conoscenze, esperienza o competenze, ma per mancanza di responsabilità (nel senso di accountability e responsibility) e di moralità che fa sì che altrimenti stimabili colleghi si uniformino senza discutere e accolgano solo un po' a malincuore - ma neanche poi troppo - procedure e buone pratiche che di improprio non hanno solo l'aggettivo. Tuttavia, si sa, "le cose vanno così". Ed è per questo che le colleghe del parco Trenno mi sembrano sempre un esempio di maggiore integrità e rettitudine. 

Certo che se attorno a un tavolo o in un'aula censuriamo noi stessi per convenienza - "questo non si può dire, questo non si può fare, quest'altro è davvero troppo..." - non riusciremo mai a cambiare nulla, anzi rafforziamo lo status quo. Non si va in azienda a fare i predicatori - ce ne sono e dio ce ne scampi e liberi - ma neanche i galoppini o, peggio, i complici. Sennò hai voglia a portare l'arte contemporanea nelle organizzazioni come leva del cambiamento come cerco di fare, senza gran successo: anche l'arte infatti in molte circostanze ha blandito il potere  e non ne ha mostrato affatto "di che lagrime grondi e di che sangue", ma l'ha celebrato e perpetuato. Non diversamente da formatori e consulenti.