venerdì 22 luglio 2011

La cultura e i saperi

L’espressione cultura del territorio va oggi di gran moda e non solo nelle cantine e nelle cucine, ma anche nelle assisi politiche o in coloro che per far fronte alla disgregazione dell’economia globale, ad essa vogliono opporre il recupero della ricchezza delle produzioni locali che si esprime o con la difesa nazionalistica dei frutti dell’italico ingegno o con la poco felice e un po’ oscura formula del glocalismo.
Preferisco invece pensare all’idea di diversi territori connessi, passando quindi dall'espressione "nostro territorio" a quella di "nostre connessioni territoriali" intendendo in questo modo la possibilità di contaminazioni tra realtà locali distanti che si integrano in una realtà più estesa, un locus fluidus, che non sia indefinito, ma che possa avere molte e diverse definizioni, molti e diversi con-fini, intesi simultaneamente come perimetri e finalità, ma non come frontiere.

L’uso del termine cultura in generale non mi piace né con la maiuscola né senza. Puzza di scuola (le scuole puzzano di pessimi detersivi, ormoni instabili, idee stantie, ignobili motivazioni e - spesso - insegnanti sciatti), di insopportabile - per me che pur sono liberale - pensiero crociano. Mi piace di più l'idea di sapere e saperi. Perché? Perché c'è quella radice sap che li accumuna ai sapori e che deriva dal sale. Il sale dell'intelligenza che dà sapore al sapere. Il sapere si gusta, come le cose buone. Il sapere è volto al futuro, la Kultura al passato; il sapere è generativo, la Kultura fa compiacere delle proprie riflessioni; il sapere si proietta verso gli altri, spinge alla collaborazione, alla ricerca, la Kultura ne è la cristallizzazione spesso intimista. Secondo me la fase progettuale di un'iniziativa allo stato nascente è quella della ricerca e creazione dei saperi, quella dei giorni che precedono il sabato della Genesi.