martedì 24 gennaio 2012

La leadership nell'arte


Da mesi sto cercando di capire le possibili relazioni tra l’arte in senso lato e l’organizzazione aziendale. Con il tempo, dovendo individuare un fil rouge di coerenza tra i miei vari interessi che li potesse spingere un po’ oltre la superficie del conoscere e li orientasse verso la costruzione ideale di una statua interiore ancora molto abbozzata e per lo più nascosta dalla materia, ho tracciato in modo più netto i confini dell’indagine, limitandoli a quanto l’arte possa dare e dire alla leadership.
Arte e leadership rimangono due termini vaghi, nonostante i miei novelli sforzi, e fastidiosamente abusati, talvolta in ircocervi lessicali che possono portare a pensare a un’immaginaria Arte della Leadership, rigorosamente in maiuscolo per chi ritiene d’esserne depositario. Meglio sarebbe parlare dei rapporti tra l’artista e il potere, ma non da intendersi come sudditanza dell’uno verso l’altro: non si tratta di analizzare il modo in cui l’artista magnifica il potente, ma di capire quale sia il vero potere dell’artista.

Chi crea un’opera d’arte deve essere innanzitutto libero di esprimersi, deve poter tirar fuori da sé il proprio modo di leggere la realtà esterna o interna, deve poter violare canoni espressivi, violentare il linguaggio, ricostruire il mondo secondo percezioni ed elaborazioni personali. Tuttavia ha bisogno di limiti, di ostacoli, di linguaggi comunemente condivisi da oltraggiare: non può spezzare le inferriate se in qualche modo non si sente messo in gabbia. E’ l’altezza dell’ostacolo che determina lo slancio per il salto. La libertà esige briglie da strappare, sennò perde tensione, abdica a qualsiasi funzione, si ritira in una meditazione che non è ricerca di un centro, ma fuga, timore, autosegregazione.
L’artista deve vivere continuamente il paradosso della libertà minacciata dai vincoli. Il potere dell'artista non è espressione di un ruolo, non è dato dalla grazia dello stato, non è una leadership che derivi da un organigramma o da un ruolo istituzionale: non è potere potenziale, ma potere potente e potuto. Si mostra attraverso la realizzazione artistica, è quindi potere in cui sostantivo e verbo si manifestano simultaneamente. 

Come egli esercita pertanto la sua libertà, in quali poteri si traduce, in che cosa diventa leader che guida l’orecchio o l’occhio degli altri? Il potere più visibile è quello di reinterpretazione della realtà attraverso le parole, le forme e i suoni. La tradizione cinese dice che il vero potere celeste è quello di dare il nome alle cose: l’atto di denominare e identificare crea la realtà, la costruisce secondo regole coerenti.
Nella tradizione occidentale, “In principio era il logos”, dice Giovanni, la parola creatrice, il pensiero, la logica divina che precede il mondo fisico. L’artista decostruisce e ricostruisce la realtà, la manipola, la modifica, ne enfatizza alcuni aspetti, celandone altri. L’artista crea visioni del mondo, le comunica, persuade, scandalizza. Skàndalon in greco è l’ostacolo, la trappola, l’inciampo e ha la stessa radice del sanscrito c’handa, che invece significa nascosto, coperto. L’etimologia sembra suggerirci che l'artista scandalizzi offrendo trappole al nostro modo di pensare, riveli ostacoli nascosti, realtà celate.

Nello scivolare – anche se non senza azzardi - lungo l’origine delle parole, ci rendiamo conto di un altro potere, più sottile, più nascosto e profondo: il potere metafisico dell’arte che porta i sensi a connettersi con una realtà non materiale, forse spirituale, con leggi fuori dal tempo: l’artista guida – leads to – verso la bellezza; è un medium tra la bellezza intesa quasi come concetto astratto, platonico, e la fisicità dello spettatore. Ha il potere della messa in relazione con i concetti puri, il superamento del velo di maya - l’apparenza - verso la sub stantia, verso la verità: la realtà non più nascosta, ma disvelata – alètheia – dei greci.
L’artista, in questa concezione che potremmo chiamare spiritualista, conduce verso la verità, ne è interprete e guida. Un potere immenso, straordinario e pericoloso: un potere che rimette in contatto con l’armonia mundi, con le energie della terra e del cielo, secondo la sapienza orientale; rimette in sintonia con i tempi, i colori, il divenire della natura, rende consapevoli di essere parte di essa e di contenerla tutta. E’ una consapevolezza ambientale in senso universale.
In una visione più laica, la natura della bellezza disvelata dal potere dell'artista, sembra consistere non già in un concetto statico, ma in una trama di regole che organizzano le proporzioni, definiscono la prospettiva, costruiscono simmetrie: un dinamismo filosofico, matematico e geometrico che si evolve con il tempo. L'artista ha la sapienza e la conoscenza delle regole della bellezza a un punto tale da sapere quando poterle violare e fare dell'asimmetria, della sproporzione, del difetto la cifra di una nuova idea di bellezza che non sempre riesce a essere  subito compresa. Federico Zeri riteneva che se avesse dovuto scegliere l'opera architettonica più bella al mondo, avrebbe indicato il Palazzo della Signoria di Firenze, perché pensato in violazione delle regole della simmetria eppure compiutamente armonico. Un'architettura finalizzata a rappresentare l'arte stessa del governare, la leadership politica, dove l'armonia è raggiunta attraverso l'adattamento e il dosaggio delle regole finalizzato - almeno idealmente - al bene comune. 

L’arte ha il potere di superare le nostre resistenze e di parlarci con un linguaggio anche a-razionale; ha la forza di insinuarsi e di diffondersi, come acqua e come aria, in tutto il nostro essere, sciogliendo la nostra individualità, integrando la nostra vita nel flusso incessante delle vite degli altri. E’ un potere che si lascia condividere, che non ammette esclusività, accessibile a chi si lascia accedere, che supera i piccoli domini materiali, le gelosie, l’esercizio inane del potere illusorio dei nostri ego. Va ben oltre il comando, la difesa dei diritti, i diversi interessi particolari; richiama con forza invece a una leadership plurale e convergente, centrata sulla consapevolezza del proprio essere nel mondo e sul recupero del noi celato dal nostro io.

mercoledì 11 gennaio 2012

Le verità alternative: un percorso eretico

Parliamo di eresia e di dogma cioè, nell'accezione comune, parliamo di certezze e di controcertezze. Tuttavia, se andiamo a ricercarne le etimologie, scopriamo agli occhi profani cose sorprendenti. La parola “eresia”, infatti, deriva da quella greca “airesis” che a sua volta deriva dal verbo greco “aireo” che significa “prendere”, “scegliere”. L’eresia è quindi etimologicamente una scelta: una scelta ideologica e di vita, non una controverità, ma un'altra verità.

“Dogma” invece deriva da “doxa”, “opinione”. Un dogma in origine era quindi un’opinione, tra le tante possibili, non una verità rivelata, non una certezza assoluta.

Se pertanto eresia vuol dire scelta e dogma opinione, significa che gli antichi greci coglievano nell’una e nell’altro un nucleo imprescindibile di libertà: la libertà di scegliere e la libertà di formarsi un’opinione. Eresia e dogma non erano in contrapposizione: rappresentavano solo opzioni differenti, declinazioni diverse della stessa libertà.


I fondamentalismi
E’ con la Chiesa che l’opinione, il dogma, diventa Verità con l'iniziale maiuscola, proveniente da Dio e quindi non tale da ammettere verità diverse; il Vero non può essere altro da quello che è, non c'è spazio per una pluralità di significati. Dogma diventa così sinonimo di verità assunta e incontrovertibile, mentre eretico è ritenuto qualsiasi tentativo di affermazione di una verità personale, soggettiva, collettiva o universale difforme dal dogma. Il primo comandamento viene assorbito nel dogma: “Non avrai altro Dio all'infuori di me” stabilisce che Dio, il Dio della Bibbia, è l'unico fondamento della verità. Chi conosce e fa sua – o pensa di conoscere e di fare propria – la parola di Dio, possiede la verità.

Con la Chiesa nasce quindi la contrapposizione insanabile tra chi cristallizza nel dogma la Verità e chi non lo accetta: si perde nei fondamentalismi la radice comune delle parole nella libertà, si dà origine allo scontro.
Ne vengono contaminati tutti campi del sapere, anche quello che dovrebbe essere il più antidogmatico: la conoscenza scientifica. Al dubbio, all'opinione, agli interrogativi, si sostituiscono la verità, la certezza, gli esclamativi. Il metodo scientifico diventa unica prova di realtà: se un fenomeno non è scientificamente accertato non è considerato vero, al di là anche delle più comuni evidenze. Con il nuovo dogma scientista si perdono i saperi umanistici, le conoscenze sapienziali, il mondo a cavallo con la filosofia, esoterico, cabbalistico, il mondo del vero sentire, dominato dalle menti neoplatoniche più raffinate e colte, ben lontano da certa ciarlataneria attuale. Ci vorrà il filosofo Feyerabend nel XX secolo per svelare la debolezza del metodo scientifico, la sua costruzione artificiale, per asserire come spesso sia il caso a governare la scoperta scientifica.


L'idea


Per queste e altre ragioni, in collaborazione con l'associazione Commonlands penso possa essere stimolante organizzare un evento (o magari più d’uno) che abbia come tema il contrasto tra il pensiero dominante – il dogma – e i pensieri alternativi – le eresie. Vorrei pertanto non limitare lo sguardo al solo aspetto religioso, ma prendere in considerazione altri campi del sapere e persino aspetti tratti dalla vita di tutti i giorni.

Gli spunti saranno presi da grandi “eresie” in senso lato, che hanno aperto nuove strade della conoscenza e dell'esperienza.
L'incontro o gli incontri si potrebbero tenere in un luogo caratteristico dal punto di vista storico, culturale o simbolico e, in tale contesto, affrontare alcuni casi di “eresia”, con l'aiuto di esperti e con la partecipazione attiva del pubblico.



Gli stimoli per la mente
Ecco alcuni tra gli stimoli eretici a cui ho pensato e che mi sembrano particolarmente intriganti; li elenco in puro disordine, come tanti colorati mattoncini Lego da scomporre e ricomporre in nuove affascinanti geometrie e funzioni:
  • La figura di A. Olivetti e la sua impresa: investimenti vs tagli dei costi in tempo di crisi. 
  • Il Dadaismo e il Surrealismo nell'arte contemporanea.
  • La Tarte Tatin: un dessert nato sbagliato. 
  • Eresie gastronomiche: la frittura al glucosio e la mantecatura con azoto liquido; la cucina molecolare di Hervé This (con ricette!). 
  • Steve Jobs, una vita a giocare a “Lascia o Raddoppia?”. 
  • Isaac Newton, fisico e teologo contro la Trinità.
  • L'integralismo di Gandhi e la guerra non violenta. 
  • L’umanesimo: l’uomo che si fa dio. 
  • La banca dei più poveri: Mohamed Yunus e la Grameen Bank. 
  • Il Piaggio MP3: lo scooter a tre ruote. 
  • Il paradigma di Kuhn e il contrometodo di Feyerabend.
  • L’Alzheimer, la clinica senza farmaci e la Wii. 
  • La cupola del Brunelleschi: perché non cade? 
  • La riforma della psichiatria nella geniale follia di Basaglia. 
  • Il cinema di Luis Bunuel e i pugni nello stomaco del conformismo. 
  • Caravaggio, criminale, innovatore, postmoderno. 
  • Sun Tzu, l'Arte della Guerra e il weiqi: la tradizione altrui, un'eresia per i nostri strateghi. 
Molti altri potrebbero essere gli stimoli, il mio elenco ha preso forma attraverso un semplice criterio impressionistico che tuttavia confido possa arricchirsi soprattutto coi vostri contributi.