Da mesi sto cercando di
capire le possibili relazioni tra l’arte in senso lato e l’organizzazione
aziendale. Con il tempo, dovendo individuare un fil rouge di coerenza tra i
miei vari interessi che li potesse spingere un po’ oltre la superficie del
conoscere e li orientasse verso la costruzione ideale di una statua interiore
ancora molto abbozzata e per lo più nascosta dalla materia, ho tracciato in modo più netto i confini dell’indagine, limitandoli a quanto l’arte possa
dare e dire alla leadership.
Arte e leadership rimangono
due termini vaghi, nonostante i miei novelli sforzi, e fastidiosamente abusati,
talvolta in ircocervi lessicali che possono portare a pensare a un’immaginaria Arte
della Leadership, rigorosamente in maiuscolo per chi ritiene d’esserne depositario. Meglio sarebbe parlare dei rapporti tra l’artista e il potere, ma non
da intendersi come sudditanza dell’uno verso l’altro: non si tratta di
analizzare il modo in cui l’artista magnifica il potente, ma di capire quale
sia il vero potere dell’artista.
Chi crea un’opera d’arte
deve essere innanzitutto libero di esprimersi, deve poter tirar fuori da sé il
proprio modo di leggere la realtà esterna o interna, deve poter violare canoni
espressivi, violentare il linguaggio, ricostruire il mondo secondo percezioni
ed elaborazioni personali. Tuttavia ha bisogno di limiti, di ostacoli, di
linguaggi comunemente condivisi da oltraggiare: non può spezzare le inferriate
se in qualche modo non si sente messo in gabbia. E’ l’altezza dell’ostacolo che
determina lo slancio per il salto. La libertà esige briglie da strappare, sennò
perde tensione, abdica a qualsiasi funzione, si ritira in una meditazione che
non è ricerca di un centro, ma fuga, timore, autosegregazione.
L’artista deve vivere continuamente
il paradosso della libertà minacciata dai vincoli. Il potere dell'artista non è espressione di un ruolo, non è dato dalla grazia dello stato, non è una leadership che derivi da un organigramma o da un ruolo istituzionale: non è potere potenziale, ma potere potente e potuto. Si mostra attraverso la realizzazione artistica, è quindi potere in cui sostantivo e verbo si manifestano simultaneamente.
Come egli esercita pertanto
la sua libertà, in quali poteri si traduce, in che cosa diventa leader che
guida l’orecchio o l’occhio degli altri? Il potere più visibile è quello di
reinterpretazione della realtà attraverso le parole, le forme e i suoni. La tradizione
cinese dice che il vero potere celeste è quello di dare il nome alle cose:
l’atto di denominare e identificare crea la realtà, la costruisce secondo
regole coerenti.
Nella tradizione occidentale,
“In principio era il logos”, dice Giovanni, la parola creatrice, il pensiero,
la logica divina che precede il mondo fisico. L’artista decostruisce e
ricostruisce la realtà, la manipola, la modifica, ne enfatizza alcuni aspetti,
celandone altri. L’artista crea visioni del mondo, le comunica, persuade,
scandalizza. Skàndalon in greco è
l’ostacolo, la trappola, l’inciampo e ha la stessa radice del sanscrito c’handa, che invece significa nascosto,
coperto. L’etimologia sembra suggerirci che l'artista scandalizzi offrendo
trappole al nostro modo di pensare, riveli ostacoli nascosti, realtà celate.
Nello scivolare – anche se
non senza azzardi - lungo l’origine delle parole, ci rendiamo conto di un altro
potere, più sottile, più nascosto e profondo: il potere metafisico dell’arte
che porta i sensi a connettersi con una realtà non materiale, forse spirituale,
con leggi fuori dal tempo: l’artista guida – leads to – verso la bellezza; è un
medium tra la bellezza intesa quasi come concetto astratto, platonico, e la fisicità
dello spettatore. Ha il potere della messa in relazione con i concetti puri, il
superamento del velo di maya - l’apparenza - verso la sub stantia,
verso la verità: la realtà non più nascosta, ma disvelata – alètheia – dei greci.
L’artista, in questa
concezione che potremmo chiamare spiritualista, conduce verso la verità, ne è
interprete e guida. Un potere immenso, straordinario e pericoloso: un potere
che rimette in contatto con l’armonia mundi, con le energie della terra e del
cielo, secondo la sapienza orientale; rimette in sintonia con i tempi, i
colori, il divenire della natura, rende consapevoli di essere parte di essa e
di contenerla tutta. E’ una consapevolezza ambientale in senso universale.
In una visione più laica, la natura della bellezza disvelata dal potere dell'artista, sembra consistere non già in un concetto statico, ma in una trama di regole che organizzano le proporzioni, definiscono la prospettiva, costruiscono simmetrie: un dinamismo filosofico, matematico e geometrico che si evolve con il tempo. L'artista ha la sapienza e la conoscenza delle regole della bellezza a un punto tale da sapere quando poterle violare e fare dell'asimmetria, della sproporzione, del difetto la cifra di una nuova idea di bellezza che non sempre riesce a essere subito compresa. Federico Zeri riteneva che se avesse dovuto scegliere l'opera architettonica più bella al mondo, avrebbe indicato il Palazzo della Signoria di Firenze, perché pensato in violazione delle regole della simmetria eppure compiutamente armonico. Un'architettura finalizzata a rappresentare l'arte stessa del governare, la leadership politica, dove l'armonia è raggiunta attraverso l'adattamento e il dosaggio delle regole finalizzato - almeno idealmente - al bene comune.
In una visione più laica, la natura della bellezza disvelata dal potere dell'artista, sembra consistere non già in un concetto statico, ma in una trama di regole che organizzano le proporzioni, definiscono la prospettiva, costruiscono simmetrie: un dinamismo filosofico, matematico e geometrico che si evolve con il tempo. L'artista ha la sapienza e la conoscenza delle regole della bellezza a un punto tale da sapere quando poterle violare e fare dell'asimmetria, della sproporzione, del difetto la cifra di una nuova idea di bellezza che non sempre riesce a essere subito compresa. Federico Zeri riteneva che se avesse dovuto scegliere l'opera architettonica più bella al mondo, avrebbe indicato il Palazzo della Signoria di Firenze, perché pensato in violazione delle regole della simmetria eppure compiutamente armonico. Un'architettura finalizzata a rappresentare l'arte stessa del governare, la leadership politica, dove l'armonia è raggiunta attraverso l'adattamento e il dosaggio delle regole finalizzato - almeno idealmente - al bene comune.
L’arte ha il potere
di superare le nostre resistenze e di parlarci con un linguaggio anche a-razionale;
ha la forza di insinuarsi e di diffondersi, come acqua e come aria, in tutto il
nostro essere, sciogliendo la nostra individualità, integrando la nostra vita nel
flusso incessante delle vite degli altri. E’ un potere che si lascia
condividere, che non ammette esclusività, accessibile a chi si lascia accedere,
che supera i piccoli domini materiali, le gelosie, l’esercizio inane del potere
illusorio dei nostri ego. Va ben oltre il comando, la difesa dei diritti, i
diversi interessi particolari; richiama con forza invece a una leadership plurale e
convergente, centrata sulla consapevolezza del proprio essere nel mondo e sul
recupero del noi celato dal nostro io.