lunedì 12 settembre 2016

L'opera d'arte come strumento di formazione


(Viene qui di seguito riportato il testo del mio intervento a "Pitturazione: quando la formazione incontra l'arte", con l'esperto di processi formativi Cristiana Clementi e la pittrice Valentina Canale, Cassinetta di Lugagnano, Milano, 10 settembre 2016).


"L'arte è solo un mezzo per vedere", così si esprimeva lo scultore grigionese della indeterminatezza dell'uomo Alberto Giacometti. Sorprende una frase così netta, definita, quasi sminuente, da parte di un autore le cui opere sono invece la testimonianza di una incapacità di esprimersi in maniera definitiva, di raggiungere un risultato soddisfacente che non sia invece in continuo movimento, evoluzione, superamento di sé. "L'arte è solo un mezzo per vedere": non ci si può non chiedere davanti a un'affermazione del genere chi sia il soggetto vedente e quale l'oggetto visto. Così come non si può fare a meno di pensare all'arte come strumento, mezzo di intermediazione della conoscenza, molto lontana quindi dall'idea di ars gratia artis - l'arte per l'arte - con cui ci hanno riempito la testa a scuola: il culto dell'arte, una religione estetica neopagana, una categoria dello spirito.

L'appunto di Giacometti invece ci trasmette l'idea affascinante di un'arte da imparare a capire, a usare, per vedere la realtà. L'oggetto dell'arte, il centro del suo campo visivo, è la realtà. La realtà materiale, concreta, fisica, ma anche la realtà delle idee, concetti, paure, desideri, pulsioni, principi. Un oggetto quindi fisico, ma anche metafisico, che va quindi al di là della natura e ci porta nelle dimensioni di intelletto, pensiero, emozioni, etica, sogno. L'arte diventa così un mezzo di trasporto che ci conduce nelle più diverse direzioni trasfigurandole, rappresentandole quindi in modo simbolico, deformato, destrutturato e poi ricostruito, attraverso associazioni, relazioni, simultaneità, contrasti. L'opera è una narrazione visiva, tattile, uditiva - verbalizzata o no - della realtà; supera se stessa, la propria materialità, le forme, le tecniche che hanno condotto alla sua creazione per aprire squarci su mondi non attesi, proprio come in una delle Attese di Lucio Fontana. L'arte è un tramite costante tra la realtà esterna, l'interiorità dell'artista e quella del suo consumatore. Uso di proposito il termine consumatore perché l'opera va consumata per consentirle di esprimere tutto il suo contenuto: non basta osservarla; va vissuta più volte, gustata, esplorata.

Se l'oggetto dell'arte come "mezzo per vedere" è la realtà esterna, interna e immaginata, i soggetti sono invece almeno due: l'artista e il consumatore. L'artista "vede" attraverso la propria arte, concretizza la propria realtà interiore su una tela, si coglie attraverso lo spazio bidimensionale su cui mette le mani: come Narciso nello specchio d'acqua, con la differenza che l'immagine riflessa è quella che l'autore ha voluto o cercato di creare.
Il consumatore è in una posizione privilegiata perché non solo può vedere che cosa l'artista vuole esprimere e come, ma ha modo anche di dialogare con se stesso, di prendere parte a una rappresentazione che va oltre le intenzioni e le capacità dell'artista. La relazione tra consumatore e opera ad un certo punto diventa totalmente autonoma e altra rispetto a quella tra l'artista e la sua opera. L'opera stessa, quindi, prende una vita autonoma rispetto a quella che il suo creatore ha pensato di darle.

Se l'arte è in grado di dire molte più cose di quelle che il suo autore ha inteso, se parla direttamente all'osservatore e si offre a lui fino a farlo diventare consumatore, se tende a farsi possedere, diventa inevitabile cogliere la dimensione trasformatrice dell'opera. L'opera d'arte induce cambiamenti, trasformazioni, trans-formazioni, cioè modella il consumatore a diventare altro da sé, a subire una piccola - o grande - metamorfosi; l'arte pertanto diventa strumento di formazione, capace di plasmare l'osservatore facendolo diventare una tela su cui stendere nuovi colori o il blocco di marmo da cui liberare - rimuovendo l'inutile - la parte di sé in esso nascosta. Formazione significa partecipare al processo di acquisizione di una forma, facilitandolo, guidandolo, indirizzandolo.
Il processo di formazione avviene all'interno dell'osservatore: l'opera, per assumere un significato, per scatenare la sua forza evocativa e descrittiva ha bisogno di uno spettatore che abbia un ruolo attivo, che si lasci penetrare, non opponendo resistenze. È nello spettatore che non teme l'ignoto, l'insolito, l'incomprensibile, che l'arte può liberare le sue potenzialità generatrici di idee, riflessioni, decisioni e cambiamenti.
Perché avvenga il passaggio da ruolo passivo ad attivo, da spettatore a consumatore, è innanzitutto necessario che ci sia un contatto diretto con l'opera non mediato da fotografie, film o riproduzioni. Questa relazione in formazione deve essere guidata da un atteggiamento curioso da parte del consumatore; l'arte - diceva Berger - deve avviare un processo di interrogazione, una ricerca - potrebbe aggiungere - a più livelli in sovrapposizione: che cosa esprime l'opera, quali sono le intenzioni dell'artista, che reazioni suscita nello spettatore. Per poter dare una risposta a queste domande, lo spettatore/consumatore deve allenarsi con l'immaginazione e pensare di essere l'autore o un soggetto dell'opera che ha davanti a sé, un colore o la tela in pittura, uno strumento musicale in una sinfonia, un blocco di marmo nella scultura. Sentire le mani dell'artista che lo plasmano, lo suonano o lo distribuiscono sulla tela; cercare di immaginarne le sensazioni tattili, gli odori, le consistenze della materia, le temperature, i gesti preparatori o quelli creatori, il tempo necessario, le attese prima di mettere mano a questo o quel particolare. Nel fare tutto questo occorre porre la propria attenzione alle sensazioni, alle emozioni positive e negative, alle forze che attraggono e quelle che respingono e persino al rimanere indifferenti davanti a un'opera. Come mai siamo apparentemente sordi a quel che l'artista voleva dirci? Perché la sua opera sembra ignorarci, non essere interessata a noi, sembra non voler trasmetterci nulla?

Una successiva riflessione deve portare a pensare in quali altre circostanze della vita lo spettatore fa la stessa esperienza di pienezza o di vuoto, presenza o mancanza di significato e quali elementi possano essere in comune con la relazione che egli sta stabilendo con l'opera: perché l'opera lo cattura, lo fa suo? Perché invece sembra rifiutargli una qualsiasi possibilità di comunicazione? Quando nella vita quotidiana si può accorgere di attraversare le stesse sensazioni?
Come in tutte le cose, per far parlare un'opera ed essere in grado di ascoltarla occorre silenzio, concentrazione, sensibilità e attenzione e allenamento. L'opera deve avere il tempo di distrarci, condurci via dalla banalità e chiusura dei soliti pensieri e farci volare attraverso territori inesplorati e spesso scomodi. Non serve una competenza di natura artistica o filosofica: serve invece disponibilità ad ascoltare se stessi attraverso le opere.

Valentina Canale - Rami
La fiducia nel fatto che l'arte sia un "mezzo per vedere" e quindi un efficace strumento di formazione, nasce dalla non casualità dell'opera, dall'intenzionalità dell'artista. Egli esprime se stesso, si racconta nel modo che ritiene più opportuno. Lo spettatore va in cerca a sua volta di questo dialogo silenzioso, ma non vacuo, ricco invece di significati e di stimoli. È quindi presente anche una tensione dello spettatore verso l'artista e la sua opera, un voler capire guidato dalla curiosità, la sete di conoscere. E quando la conoscenza si sviluppa scatta la meraviglia, lo stupore, la capacità di farsi rapire dal nuovo per poterlo poi guidare. Quel che i filosofi greci chiamavano thaumazein.



Nessun commento:

Posta un commento