mercoledì 3 agosto 2011

Homo homini lupus...

In “Una meravigliosa vita da cani” di Graeme Sims è riportata un'antica leggenda Cherokee che parla dei conflitti che ogni uomo porta dentro di sé. La storia mi è stata segnalata da Paolo G. Bianchi (http://www.formazionezero.blogspot.com/) e narra del dialogo tra un capo Cherokee e il suo nipotino.
Nell'animo abbiamo due lupi in continuo combattimento: uno è il male che ci porta rabbia, invidia, gelosia, scontento, rimpianto, avidità, arroganza, autocommiserazione, prepotenza, rancore, meschinità, menzogna, falso orgoglio, presunzione, egoismo. L'altro invece è il bene che ci regala gioia, pace, amore, speranza, serenità, umiltà, bontà, benevolenza, empatia, generosità, verità, compassione, fiducia."
Il nipotino rifletté allora un po' e poi chiese al nonno: "Quale lupo alla fine vince?"
E il vecchio rispose: "Quello a cui darai da mangiare".

Mi piace questo apologo perché riconduce il dilemma bene-male all'intimo di ognuno di noi: i due lupi li abbiamo dentro e siamo noi che li nutriamo. Ovunque invece i due lupi vengono rappresentati vivere vite separate: il lupo Bene siamo noi, onesti, corretti, etici, attenti, sensibili, integerrimi, "in bicicletta". Il lupo Male sono gli altri, egoisti, carrieristi, cinici, spietati, conformisti, "col suv".
Il tutto mi fa venire in mente una discussione cui ho partecipato più di un anno fa in un forum professionale sull'apologo di una rana che porta generosamente sulle spalle uno scorpione nel guadare un fiume. Lo scorpione alla fine uccide la rana, perché è la sua natura. Gli intervenuti alla discussione stigmatizzarono il fatto che molti (sempre gli altri) nelle aziende si comportino da scorpioni, inaffidabili, pronti a pugnalarti, indifferenti al bene comune, ma solo al proprio interesse.

Peccherò di qualunquismo, ma per parte mia continuo a pensare che nella nostra vita siamo spesso rane e altrettanto spesso scorpioni, non per natura, bensì per volontà e circostanze. Peccato che non siamo mai elefanti, sennò ce ne ricorderemmo.
E' facilissimo essere etici e irreprensibili quando non agisci, quando eviti tutte le situazioni in cui i tuoi valori vengono messi in gioco, quando non devi fare scelte, ma non intendo scelte meramente ideologiche: intendo scelte concrete. Licenzio o non licenzio; abortisco o tengo il bambino; me ne vado di casa o resto con la mia famiglia; non cedo e rinuncio ai vantaggi economici, ma salvo la mia dignità o cedo, perdo la faccia, ma coi vantaggi che ne traggo assicuro ai miei figli un futuro migliore?
Tutte le volte che sento qualcuno vantarsi della propria integrità morale, mi viene sempre in mente quell'aforisma che dice che per avere la coscienza pulita basta non usarla. L'ostentazione della propria moralità è una delle cose più insopportabili nelle persone: è una barriera, un guardare agli altri dall'alto verso il basso, un essere totalmente distratto rispetto alle debolezze e sofferenze degli altri e abbacinato invece dal proprio candore. C'è una ricchezza straordinaria negli errori, nell'incoerenza, nei cedimenti, nei tradimenti verso se stessi e gli altri: la ricchezza di un percorso che ti porta forse a capire meglio chi ti sta intorno, a vestirne gli abiti senza puntare dita, senza giudizi, senza bisogno di ridurre le persone all'etichetta che vorresti appiccicare loro addosso. Comprenderli senza volerli cambiare, migliorare, far crescere, formare. Comprenderli solo per aiutare a cambiare te stesso.


G. Gaber - I mostri che abbiamo dentro

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