giovedì 30 giugno 2011

Il Poeta

Incede lentamente, sorridente, tra la sala plaudente, sicuro nel suo completo blu di taglio ordinario, quel tanto di ordinario che lo fa apparire normale, comune, alla pari coi suoi collaboratori, una specie di divisa manageriale, un abito comodo che ha già visto molte platee e raccolti molti consensi, applausi e sorrisi ceramici di circostanza.

S'avvia verso il palco dove lo attende il suo amico, il moderatore, stazzonato nel suo abito di lino chiaro, alternativo, da libero pensatore di nuovi modelli relazionali, nuovi approcci, nuovi linguaggi e qualche vecchia piaggeria.

Due belle poltrone di pelle attendono di accogliere i loro deretani tra le morbidezze di cuscini trapuntati, coerenti col gusto della sala, tutta dipinti, moquette damascate e boiserie brianzole che fanno tanto effetto Villaggio Potemkin.

Solo i relatori importanti hanno l'onore della seduta di cuoio, tutti gli altri invece vengono avvicendati lungo un tavolo di formica da anonima sala conferenze, dal quale poter promuovere loro stessi, l'Azienda e dire qualche frase la cui confezione ha ormai perso freschezza, originalità e pulizia. Se per caso a qualcuno scappa di dire qualcosa di intelligente, sarà l'accurata opera dei moderatori a sterilizzare tutto affinché nessuno degli intervenuti o degli sponsor possa aversene a male.

L'uomo in blu si presenta, tutti lo chiamano direttore delle risorse umane, ma lui preferisce definirsi Poeta e inizia a declamare i suoi versi alla sala attonita, uno sbigottimento che il Poeta e il moderatore leggono come testimonianza di ammirazione. Una poesia, un'altra, alcuni passi da un libro, educati scambi di complimenti, ancora qualche verso tra il brusio degli astanti forse invidiosi per tanta bravura e creatività.

Il Poeta d'un tratto ricorda di lavorare in una fabbrica e di esserne il responsabile del personale ed eccolo prodursi in elevate considerazioni sulla motivazione dei lavoratori e sulla nobiltà del lavoro manuale, l'estetica della fatica fisica, la bellezza del muscolo teso, della fronte imperlata di sudore e delle voci operaie che imprecano se il lavoro non riesce ben fatto. Sembra respirarsi l'atmosfera musicale di certi mercati liguri immortalati da De Andrè.
La fabbrica, le macchine, il lavoratore vengono cantati dal nostro Poeta in un suo nuovo componimento di cui suole omaggiare le sue operose persone che non mancano mai di ringraziarlo commosse. Gli stessi sindacati ormai hanno capito che una gara tra liriche è certamente più costruttiva di qualsiasi aspro confronto e preferiscono l'agone poetico alla lotta salariale. Del resto – come il Poeta non manca di sottolineare con un ghigno sinistramente prosaico – qualche verso ben ritmato, alle casse dell'azienda, pesa sempre di meno di un aumento nella busta paga e sortisce lo stesso effetto ipnotico.
Il pubblico accompagna le parole dell'ispirato responsabile delle risorse umane e il controcanto dell'amico moderatore con un applauso che non esprime tanto consenso quanto adattamento al primo della sala che ha iniziato a battere le mani.
Gli uomini del personale, si sa, sono avvezzi al conformismo e interpretano l'autonomia di pensiero e di volontà come mancanza di spirito di squadra. Il loro modello rimangono gli ovini, da cui indiscutibilmente si ricavano ottimi caci, buone stoffe, mangiano assai meno di quanto producono e ogni tanto s'offrono all'estremo sacrificio.
L'ovino è la perfetta quintessenza della visione del mondo dei direttori del personale e in esso - si dice - si incarnino dopo la morte da pensionamento.
Orbene, recitate le poesie, raccolti gli applausi, attese le liturgiche accondiscendenze da parte del sacerdote celebrante, dal fondo della sala, il tecnico in tuta verde che sta riparando l'impianto delle luci, punta i suoi occhi di fuoco contro il Poeta e con aria fiera, maestosa che lo fa apparire un gigante tra tutti quegli omuncoli e quelle donnicciole, brandendo qualcosa di lucido metallo, lo lancia come un fiore d'acciaio all'indirizzo della testa laureata del Poeta che con un colpo sordo stramazza al suolo in una pozzanghera d'acqua. Giacché di sangue non se ne vede l'ombra.
E subito s'ode un suono delicato, come di cetra e ognuno vede il tecnico in tuta verde accarezzare con la punta delle dita lo strumento a corde e declamare alcuni versi su come si librino nell'aria, come rondini, le chiavi inglesi.

Tutto quel che vi ho detto, a Milano, qualche giorno fa, è realmente accaduto e solo il finale l'ho purtroppo solo sognato.

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