Era un tipo simpatico,
cordiale, accogliente. Sicuro della buona impressione che faceva; attento a non
essere inopportuno, ma alquanto generoso nei gesti. Era di una cordialità a cui
non ci si poteva sottrarre, non prevedeva rifiuti; lui aveva stabilito le
regole, anche quelle della cortesia, e io ero nella sua tana, prigioniero della
sua buona educazione da ricco borghese. Aveva il piglio di chi ti vuole
istruire, educare, come certe donne che pensano tu possa essere argilla tra le
loro mani. Dicono di stimarti, apprezzarti, persino volerti bene, ma non vai
mai bene così come sei: ti aggiustano, ti modificano, ti rendono più adatto
alla loro immaginazione. Torni a essere il bambolotto di quando erano bambine,
da accudire, vestire, lavare, rimproverare e portarsi a letto, finché non trovano
che occupi troppo spazio anche lì e finisci in un cesto con altri giochi o nel
cesto della loro peggiore amica.
Così il mio ospite aveva
succhiato la mia libertà e l'aveva riposta nel decanter dove riposava un
pregevole Bordeaux, non un grand cru, sarebbe stato un gesto volgare, esibito,
non degno del ritratto di se stesso che stava incarnando; del resto non ci
eravamo mai incontrati prima, non avevamo ancora avuto il piacere di
conoscerci, come avrebbe detto lui.
C’era nel suo sguardo, ma
soprattutto nel tono di voce, un’ombra inquietante, qualcosa che egli lasciava
sapientemente sfuggire da un controllo non meno oppressivo di quello che
esercitava sui suoi invitati. Era la sua esca; sapeva che solo coloro che avessero
provato il disagio di accorgersene, avrebbero meritato di accogliere la sua
lenta e paziente tortura, quel sapiente ed erotico assaporare a piccoli sorsi la
loro anima.

A lui non interessava Delia,
era una preda troppo facile, come quelle fagianelle che vengono lasciate volare
nelle riserve affinché i soci dal fiato corto le possano cacciare con tutta
calma, dare una ragione a tutta l’umidità che i loro reumi hanno collezionato e
sedersi finalmente a tavola a raccontare dell’Ungheria, dei cinghiali spagnoli,
delle oche canadesi delle cento spedizioni di quando non c’erano freddi né
fatiche a impedire di riempire i loro carnieri. No, ero io l’animale da catturare
e far frollare, mi stimava intelligente e colto molto più di quanto io non
fossi grazie alle sciocchezze che certamente Delia gli aveva raccontato: lei mi
considerava un uomo di talento, ma un fallito; un fallito tanto più biasimevole
quanto maggiore era il talento che riconosceva in me e che giustificava il
fatto che si facesse vedere in mia compagnia anche quando eravamo da soli e
nessuno poteva in verità vederci. L’ambita preda ero io e lei stessa avrebbe
goduto nel vedermi catturato da un uomo così diverso da me, così vicino alle
sue aspirazioni, così somigliante a quello che avrei potuto essere - e forse
avere - se non fosse stato per colpa mia e per la mia inconcludenza.
Fu a quel punto che non mi volli
trattenere. E tra lini, cristalli e porcellane, dalle viscerali profondità
dell'anima mi liberai "buono, Lucio, questo vinello", fingendo di
soffocare un leggero ruttino"...