Ho pubblicato questo mio articolo anche su The Butterfliers il blog sulla formazione frutto della collaborazione con Patrizia Spaggiari.
Dopo il bel film di Sorrentino, la
bellezza sembra essere diventata di moda: se ne parla ovunque, sui media, in
pubblicità, nell'industria del lusso, ma anche nella formazione. Anzi, in
quest'ultimo ambito sembra essere diventata una specie di mantra quotidiano: la
bellezza e il benessere, la bellezza e l'impresa, salute e bellezza, la
bellezza della fabbrica - per chi ha nobili sussulti olivettiani - la bellezza
e la leadership e chi più bellezza ha più ne metta. Noi stessi sono più di due
anni che ci occupiamo con fatica e soddisfazione di bellezza e lavoro, di
rapporti tra bello e buono, etica ed estetica.
Proprio per questa ragione proviamo
un senso di disagio - per non dire di fastidio - rispetto all'abuso che si sta
perpetrando in nome dell'arte e della bellezza. Non c'è niente di più brutto e
di più lontano dall'arte dello sfruttare quest'ultima per meri interessi
commerciali, per vellicare interesse e curiosità, per camuffare un prodotto e
un servizio vuoti di significato e di qualità, per qualcosa di innovativo,
rivoluzionario, simbolico. In realtà si tratta spesso di operazioni di make up
che con la riflessione sul bello, il buono e il bene hanno poco a che vedere.
Pretesti per stupire, per sembrare diversi, ma in realtà non in grado di
scatenare quegli impulsi alla libertà che soli producono bellezza. Intendiamoci
subito, non si vuole dire che fare della formazione o della consulenza centrata
sull'idea di bellezza sia
comportarsi in modo inautentico: noi stessi abbiamo
progettato della formazione a pagamento che in qualche modo strumentalizza il
bello. Tuttavia, la vera differenza è nei fini e nei mezzi che le persone
utilizzano. La nostra finalità non è vendere un corso: se fosse così avremmo
scelto una strada meno impervia. La nostra finalità è contribuire a cambiare il
rapporto che ognuno di noi ha con il lavoro e, per farlo, abbiamo speso il
nostro tempo e le nostre energie per strutturare degli interventi che hanno al
proprio cuore quella espressione e ricostruzione della realtà che solo l'arte
può rendere materialmente visibile. L'arte parla a ognuno con linguaggi
diversi: esige solo di essere osservata per poter scatenare tutta la sua forza
rivelatrice di chi siamo, che cosa vogliamo, le nostre passioni e le nostre
paure. Quale mondo interiore squarciano i tagli di Fontana? Che cosa nascondono
i colori crepuscolari delle grandi tele di Rothko? Quanto ci rappresentano
quelle lattine di zuppa che in Warhol sembrerebbero essere tutte uguali? Quali
confini sottili scopriamo tra il sublime
e il demoniaco nell'opera di Bach?
Quale modello di produzione e di società sa ancora sbatterci in faccia
"Tempi moderni" di Chaplin?
Nell'opera d'arte l'immaginario e il
lavoro dell'artista si fondono con gli intimi recessi dell'osservatore. Si
realizza un costante passaggio di consegne, un'attrazione o una repulsione che
superano le barriere difensive. L'arte è strettamente connessa con il potere,
un potere superiore a quello tradizionale, un potere ancestrale, tenuto
nascosto, capace di smuovere gli animi. Un potere così connesso con la libertà
da terrorizzare o produrre le vertigini in chi coltiva quelle forme di potere
materiale che invece si fondano sulla rappresentazione falsata del reale e
sulla costrizione o sullo svilimento della libertà.
Il nostro proposito è dunque il
recupero della consapevolezza del cambiamento e la riscoperta delle premesse
per la sua realizzazione. Un cambiamento che è tale solo se apporta una libertà
maggiore a chi ne è investito, che è orientato a migliorare - cioè,
letteralmente, rendere più buono, più pieno di bene - l'ambiente di lavoro, le
relazioni umane e professionali, i beni materiali che vengono prodotti. Che poi
è il significato proprio dei due caratteri che rappresentano il kaizen.
L'importante è cercare di incarnarlo
con onestà e trasparenza e non tradirlo e corromperlo attraverso volgari
esigenze di marketing che non potranno mai piantare radici da cui crescano
querce.
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