Un'immagine
di uno dei tanti barattoli di zuppa Campbell, resa icona da Andy
Warhol, mi ha suggerito un immediato parallelo con uno degli oggetti
di culto degli ultimi anni, l'iPod.
Non c'è
bisogno di essere esperti d'arte per vedere come Warhol abbia voluto
trasfigurare, nelle sue riproduzioni della zuppa in lattina, un
oggetto di largo consumo totalmente standardizzato. La zuppa
confezionata era il simbolo di un'economia e di una società in
crescita, che non aveva tempo da perdere a cucinare, che doveva avere
la certezza di trovare in qualsiasi lattina sempre lo stesso
prodotto, con la stessa qualità, la stessa consistenza, l'odore, il
colore e il sapore di sempre. Nessun imprevisto avrebbe potuto
sorprendere il consumatore intento con l'apriscatole a sollevare il
lembo di tagliente metallo che richiudeva il familiare denso
alimento.
La zuppa
confezionata era il simbolo del nuovo focolare domestico, non più
custodito dalle amorevoli cure di una donna di casa, ma i cui
perimetri erano definiti da un vibrante refrigeratore, da una
rumorosa lavapiatti e da un mobile di pregiato legno scuro a
protezione di uno schermo fluorescente. Lente attraverso la quale le
immagini del mondo avevano accesso all'immaginazione delle famiglie
americane, stimolandola, modificandola e guidandola verso l'acquisto
di tanti altri baluardi del progresso. La zuppa Campbell si era
trasformata nell'americano medio.
Warhol
la ritrae più volte, così come avrebbe fatto con molti personaggi
divenuti miti popolari; la riproduce in serie proprio come in serie
viene prodotta nella realtà; ne rappresenta tutta la gamma: quella
al pomodoro, quella al pollo, ai funghi, e smetterà solo quando avrà
raffigurato tutte le versioni presenti sugli scaffali degli store.
Nessuna variante della zuppa sarebbe sfuggita alla trasfigurazione di
Warhol: far diventare arte, oggetto di culto, un cibo popolare e
cheap.
Warhol
tuttavia è così acuto, ha così ben capito il suo tempo, che non si
limita a rappresentare il prodotto, ma l'intero processo che porta
alla sua produzione, replicando le immagini infinite volte, cambiando
i colori quasi a voler fissare sulla tela o sulla carta il risultato
del processo di produzione di massa. Grazie a Warhol la zuppa
Campbell diventa icona, immagine simbolo, diventa arte contemporanea.
Trovo
che questa evoluzione da prodotto di massa a oggetto estetico abbia
la sua corrispondenza antisimmetrica nell'iPod. In questo caso il
cammino è inverso: si parte da un'idea di bellezza, di forma, di
design innovativo, di piacere estetico visivo e tattile e lo si
materializza in un manufatto di alluminio, plastica, vetro e silicio
che diventa il supporto dell'idea di bellezza, acquisisce la funzione
che la tela e la carta hanno in Warhol.

E’
nella natura delle cose e delle infinite metamorfosi dell’arte e
dei suoi significati che la prima serie del lettore musicale della
Apple sia stata esposta al MOMA di New York poco lontano proprio
dalla Warhol’s Collection.
Se
vivesse ancora Warhol non ritrarrebbe l'iPod su una tela come fece
con la zuppa Campbell e con decine di altre icone: l'iPod non ha
bisogno di diventare arte, è già materializzazione estetica. Warhol
invece dipingerebbe gli iPod, proprio come fossero essi stessi la
tela, li vestirebbe di tante piccole zuppe Campbell miniaturizzate o,
meno anacronisticamente, di tanti altri piccoli iPod, in una
meta-lettura estetica che prosegua all'infinito, mentre l'arte,
facendosi materia fisica, si riprodurrebbe, rincorrerebbe se stessa e
rischierebbe di snaturarsi, di diventare maniera o, addirittura,
prodotto di massa, finendo così per essere non dissimile da un latta
di zuppa conservata.
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