mercoledì 11 maggio 2011

MBA: l'etica c'è, ma non si vede.

Settimana scorsa, con l’amico Fabio, sono andato per curiosità alla presentazione del corso MBA organizzato dalla MIP, la business school del Politecnico di Milano. L’incontro si teneva nella moderna sede della Bovisa, un concentrato di cemento, lamiere, cristalli e spazi chiusi.
Ordinata, pulita, efficientista, un po’ anonima e – suppongo - timorosa della natura, delle fronde degli alberi e delle foglie, dal momento che le poche piccole finestrelle di una sala ad anfiteatro erano non solo sigillate, ma adeguatamente schermate affinché nessuno potesse pensare che ci fosse della vita là fuori.
Vi era anche una striscia di verde che ho scoperto essere una specie di campo di concentramento per i pochi fili d’erba, cintati da reti e inferriata, evidentemente per timore che l’erba potesse scappare e diffondersi in giro portando elementi di disordine alle cartesiane menti ingegneristiche. Qui e là bottiglie vuote di polietilene, fogli di carta strappati di cellulosa purissima, piccioni a guardia delle suppellettili.
Era sabato e non c’era un bar aperto, neppure di quelli gestiti da quegli umanoidi che ti danno il caffè senza guardarti e senza che tu l’abbia chiesto. Tuttavia di gente, tra corsisti e curiosi, ce n’era parecchia.
Dopo una sosta alle macchinette automatiche per sorbire una bevanda e fare quattro chiacchiere col display, siamo entrati nell’aula e ci siamo uniti ai pochi presenti per ascoltare due ore di esposizione di slide a prova di microscopio elettronico e due testimonianze di valorosi studenti che, per fare un’esperienza così bella come il master, hanno convinto le loro novelle spose a rinunciare al viaggio di nozze. Per mancanza di soldi? Macché, per mancanza di tempo! I giovanotti si sono detti fieri di essersi concessi il lusso, dopo tanto sgomitamento al lavoro, di poter frequentare un così bel corso che porterà indubitabili vantaggi alla loro carriera.
Mi sono reso conto a quel punto che avevo del “concedersi il lusso” un’idea piuttosto diversa e – deduco – sbagliata. Pensavo significasse fare un bel viaggio esotico, acquistare una bella torpedo blu per andare a prendere di sera signore di fluorescente bellezza, sedersi in qualche bistellato Michelin tra cristalli, argenti, lini e sugheri di grande annata. No, non avevo proprio capito niente: il lusso è usare il tempo fuori dal lavoro per fare qualcosa che serva per il lavoro. Aveva ragione una mia vecchia amica non molto fluorescente: nella vita non sarò mai nessuno.
Una volta terminate le esposizioni e le testimonianze, giunge il momento fatidico “Q&A”, dove qualcuno dovrebbe fare domande e qualcun altro rispondere. Come al solito, di domande ce n’erano pochine tranne quelle che tutti si fanno “non ci sono domande perché abbiamo capito tutto, perché non sappiamo che cosa chiedere o perché non vediamo l’ora di andarcene?”. Io una risposta ce l’avrei avuta, ma per educazione decisi di contribuire affinché la relatrice non se ne tornasse a casa con troppi dubbi in proposito. Per un'ingegnere – anche se donna - avere dubbi potrebbe essere dannoso, potrebbe farle male, costringerla a pensare in modo creativo e magari irrazionale. Eccomi lì quindi, come ancora di salvezza, a chiedere “mi scusi, come mai non c’è un corso di Business Ethics nel vostro programma? Al MIT e a Harvard è dal 2008 che si domandano se con gli MBA non hanno fatto grandi pasticci vista la crisi che è scoppiata anche per le dissennatezze e i comportamenti, a volte criminali, di una classe dirigente molto brillantemente masterizzata. E’ iniziata una fase di ripensamento profondo dei contenuti e del modo di fare management. E voi?”.
La povera relatrice non poteva immaginare che la sua ancora di salvezza potesse rivelarsi tutto a un tratto un giuda traditore. Ma sono domande etiche queste che mettono in crisi chi deve rispondere?
Superato l’imbarazzo e la sorpresa, mi viene spiegato che nel programma l’etica c’è ma non si vede. Non è stato previsto un corso specifico perché gli esperti del MIP hanno ritenuto fosse un argomento trasversale e soprattutto perché, come garantiscono al dipartimento di ingegneria gestionale, le ricerche sull’argomento sono ancora agli inizi.
Da giorni mi chiedo chi stia ricercando che cosa e dove, ma confesso di essere ignorante in materia di ingegneria della morale.
Non ho avuto la sfrontatezza di replicare che da Adamo ed Eva e la cacciata dal paradiso, l’etica è sempre stata abbastanza presente nelle cronache di giornali ed ebdomadari; ho poi evitato di parlare di mele e serpenti perché temevo che la nostra ingegneressa potesse pensare che io stessi insinuando che la morale fosse un argomento per biologi e scienziati naturali e non per ingegneri gestionali.
E’ ben vero che si tratta di un argomento trasversale che rientra in tutte le discipline, ma è altrettanto vero che non tutti hanno il linguaggio, la cultura e la capacità di riflessione necessarie per poterne parlare senza banalizzare. Tutti possono chiedersi se quel che fanno sia bene o sia male, se sia giusto o ingiusto, se abbia conseguenze che vadano oltre la propria esistenza oppure no; se l’idea di bene che si possiede sia una e comune a tutti o se ci siano tante idee diverse quanti sono gli uomini. Tutti possono farlo per se stessi: la riflessione non è monopolio di nessuno. Tuttavia, per parlarne a qualcun altro occorrono persone preparate, persone che coniughino il pensiero al comportamento e si interroghino sull’uno e sull’altro con gli strumenti adatti. Per questo hanno inventato i filosofi; per questo i filosofi andrebbero reclutati in un Master in Business Administration in cui si capisca che non sono tanto le risposte a contare, ma la capacità di farsi le domande. Mentre le une infatti mutano col tempo, le altre sono immutabili e ci accompagnano per tutta la vita.

Alla fine io e Fabio ce ne siamo andati a mangiare, chiedendoci l’un l’altro perché mai uno debba frequentare un corso del genere ed entrambi stiamo cercando ancora la risposta.

2 commenti:

  1. Non ti rimane che l'esilio volontario in Svizzera, o una diuturna resistenza contro l'obesità (o l'anoressia) dei cervelli. Aggiungo che non occorre soltanto bearsi dei pregi della nostra razza (italiana) ma occorre sempre tenere alta la guardia, per fuggirne i difetti. Mi piace molto lo stile in cui scrivi, anche questo va detto, mi suona alla stregua di alcuni vecchi polemisti borghesi (o anarchici) della seconda metà del secolo scorso, una roba intelligente e piacevolissima, una voce che mancava suppongo. Auguri al blog! Un brindisi anche, spero, non appena possibile.

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  2. Grazie Marco per il tuo primo commento e per il lusinghiero giudizio sulla mia scrittura. Detto da te mi fa davvero piacere.
    La fuga nella Confederazione per ora la rimando e di obesità mi basta la mia.
    Un brindisi virtuale che spero diventi presto reale in quel bibliobar di Largo La foppa che dobbiamo finire di esplorare. Cin cin.

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